Arte di suono
AREA I - ARTE TECNICO-SCIENTIFICA (ATS)
Cap. ATS-R01 - Arte suono - Pag. ATS-R01.06
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Arte Campanaria a Verona - di Nicola Patria (VR)
Molti potrebbero chiedersi che senso abbia parlare, oggi, di campane. Questa sezione del variegato mondo dell'arte musicale è un mezzo capace più di ogni altro di comunicare con l'anima delle persone: da sempre le voci dei bronzi hanno caratterizzato l’unicità di ogni paese, la vita dei nostri antenati e la nostra. Tale patrimonio meriterebbe una tutela ed una salvaguardia di pari dignità rispetto agli altri beni storici, artistici e tradizionali. Basti pensare che in altre nazioni molti campanili sono adibiti a museo e tenuti curati, assieme ai sacri bronzi che contengono, come dei gioielli. Verona, nelle sue numerose torri, possiede un gran numero di opere il cui valore storico, artistico, scientifico è internazionalmente apprezzato e del quale bisognerebbe prendere piena coscienza.
Già nell'antico testamento si parla di cembali ad uso religioso: “Lodate Dio con cembali risonanti, lodateLo con cembali squillanti (Sal. 150, 5). Ma fra questi piccoli strumenti e gli attuali concerti di campane di strada se n'è fatta molta.
Gli occhi di un esperto possono riconoscere l'età di una campana, la zona di produzione e, sovente, addirittura l'artefice solo esaminando il profilo del vaso bronzeo. Da questo dipende in gran parte il suono, il quale produce una nota ben definita ed un insieme di altri toni in accordo con essa. Nella campana ideale questi toni devono avere frequenze musicali precise, consistenza apprezzabile ed una durata di vibrazione di tanti secondi quanti sono i centimetri del suo diametro. Ad influire in maniera proporzionale sulla potenza e sulla ricchezza del suono è anche lo spessore della parete del vaso bronzeo, detto “sagoma”.
Una campana deve il suo suono tanto al suo profilo quanto alla composizione della lega metallica che viene colata nello stampo, nonché alla gradualità del processo di solidificazione.
Il bronzo è la lega di cui è fatta una campana e risulta composta da tre parti di rame ed una di stagno, il quale conferisce notevole melodiosità ma riduce la resistenza del vaso alla percussione. Possono anche essere presenti, in piccole percentuali, il piombo e l'antimonio, usati molto in epoca rinascimentale, specialmente per la nitidezza che conferivano alle decorazioni.
Il partito decorativo, di sovente ricco e particolareggiato, mostra scene bibliche, festoni bucolici, animali, frutti ed altri oggetti a significato simbolico. Altrettanto interessanti sono le iscrizioni, quasi sempre in latino, che riportano avvenimenti, invocazioni e, talvolta, la storia della stessa campana. Tali oggetti, prima di essere issati sul campanile, vengono benedetti secondo un antico e suggestivo rito.
Il processo per costruire una campana è qualcosa di estremamente laborioso e complesso che richiede conoscenze ed abilità in diversi campi. Questo lavoro affascinante, parte dalla preparazione di una tavola piatta in legno di noce detta “costola”, che corrisponde al profilo interno ed esterno della campana. Ogni fonditore ha una costola dalla forma caratteristica, frutto di studio ed esperienza. In generale, tutti i fonditori nord-italiani dal XVIII secolo in poi, si sono ispirati alla sagoma manieristica tardorinascimentale, di derivazione franco-elvetica.
Quando la costola è pronta si costruisce un cono cavo di mattoni detto “anima”, sul quale viene spalmato un primo strato di creta, fatto poi essiccare da carboni introdotti all’interno della struttura. Vi si impernia sopra la costola in legno che, girando, levigherà la creta in modo da ottenere il corrispondente della sagoma interna della campana. Sull' anima si sovrappongono, poi, un po’ di cenere e vari strati di grasso e creta magra (diluita con acqua e sabbie) fino ad ottenere una “falsa campana” ossia una copertura avente lo stesso spessore della futura campana bronzea. Su questa superficie, perfettamente levigata dalla parte esterna della sagoma, si applicano fregi ed inscrizioni in cera d’api (precedentemente pressata su tavolette di legno o gesso e poi fatta lievitare) che dedicano e decorano la campana. L'ultima fase di formatura consiste nel preparare il “mantello”, ottenuto dalla sovrapposizione sulla falsa campana di vari strati sempre più densi di creta, grassi, fibre ed altri leganti naturali. Il tutto viene costantemente riscaldato da carboni ardenti che facilitano l'essiccatura delle argille e lo scioglimento delle cere. In questo modo si imprimono nel mantello immagini e testi. Smontato il mantello, si elimina la falsa campana e poi lo si riposiziona e blocca nuovamente sull'anima, lasciando così l'intercapedine necessaria ad ospitare la fusione di bronzo. La struttura ottenuta viene poi interrata e coperta con materiali naturali sabbiosi speciali e ben compattati.
I forni della fonderia vengono alimentati con pura legna di faggio, che evita di inquinare i metalli, sono poi inseriti ed estratti subito dei legni porosi, la cui umidità purifica ulteriormente il rame e lo stagno. Il bronzo è, infatti, una lega composta dal 78% di rame e dal 22% di stagno (che esalta la sonorità). Si introducono antiossidanti come fosforo e manganese e si tengono mescolati i metalli costantemente. Il bronzo va calcolato in eccedenza al bastevole per due ragioni: durante la fusione la sua massa cala in una percentuale compresa tra il 5 ed il 10% ed il resto servirà per comprimere e compattare quello che ha riempito la campana, in modo da evitare la formazione di bolle d’aria interne al getto. La temperatura dei metalli raggiunge, dopo diverse ore, i 1300°C. A questo punto il fonditore si accerta che il bronzo abbia raggiunto una giusta fluidità: si apre la bocca del forno ed il metallo scintillante scorre, gorgogliando, nei canali fino agli imbuti che lo portano alla testa della campana. Tutto l’apparato deve essere pulito e riscaldato con braci per evitare sbalzi termici. La colata, giunta quasi alla fine, viene interrotta per qualche secondo onde assestare la massa sedimentata. Il foro di ingresso del metallo viene poi sigillato con del magnesio. Dopo alcuni giorni di raffreddamento, la campana viene estratta dalla fossa e liberata dal mantello. Con calma e delicatezza viene ripulita e lucidata, il vaso di finissimo bronzo è pronto: argentato, rilucente come uno specchio e finemente decorato.
In un secondo momento viene effettuato il collaudo musicale mediante la verifica, con diapason, della nota di battuta e dei toni parziali. La campana produce, infatti, una nota musicale ben definita, ma il suo suono è composto anche da un’insieme di note diverse, in accordo con la principale, detti toni parziali, udibili distintamente percuotendo il vaso bronzeo a diverse altezze. Questi toni, che durano dopo la fine della percussione, conferiscono quella personalità e continuità così caratteristiche del suono delle campane. I più importanti sono situati ad una distanza dalla nota nominale ad intervalli musicali di: prima, la terza minore, quinta, ottava superiore, ottava inferiore. Nella campana ideale essi devono avere frequenze musicali precise, volume apprezzabile ed equilibrato e durata consistente, tuttavia lievi difformità conferiscono ad ogni voce una propria peculiarità. In una buona campana moderna, inoltre, la vibrazione del bronzo dovrebbe durare tanti secondi quanti sono i centimetri del suo diametro. In genere, più la campana ha un diametro maggiore ed un peso superiore, più il suo suono sarà grave.
Tuttavia, i fonditori riescono ad ottenere la stessa tonalità pur maggiorando il peso, variando quindi principalmente lo spessore delle pareti del vaso. A parità di nota, più la campana sarà pesante, più il suo suono potente. Il rapporto tra la tonalità e il peso è detto sagoma. Esistono vari tipi di sagome: ultraleggera (<70%), leggera (75%), medio leggera (81-90%), media (100%), medio pesante (115% oggi in uso nella zona mitteleuropea ed anglosassone), pesante (125%), ultrapesante (150% ed oltre, molto usata in tutta Europa nel medioevo e rinascimento). Nell’area del Veneto sono diffuse specialmente campane di sagoma ultraleggera, leggera e medio-leggera. Campane eventualmente non ben accordate possono essere corrette mediante una lisciatura della parete interna dei vasi bronzei, i primi ad applicare regolarmente questa tecnica furono i carillonisti olandesi Hemony nel XVII secolo.
Esempio di un insieme accordato di campane, chiamato in gergo tecnico 'concerto'.
Do3 (cesolfaut), kg 1962, cm 150, progressione 100.
Re3 (delasolre), kg 1393, cm 133, progressione 71.
Mi3 (elami), kg 1000, cm 120, progressione 51.
Fa3 (fafaut), kg 824, cm 113, progressione 42.
Sol3 (gesolreut), kg 572, cm 100, progressione 29.
La3 (alamire), kg 392, cm 90, progressione 20.
Si3 (Befa), kg 294, cm 80, progressione 15.
Do4, kg 235, cm 77, progressione 12.
Re4, kg 177, cm 68, progressione 9.
Mi4, kg 155, cm 60, progressione 8.
La tabella che segue elenca i fonditori che hanno operato per la nostra diocesi dei quali è rimasta memoria. Dobbiamo ricordare che, durante il medioevo, i bronzi erano spesso opera di artigiani itineranti, provenienti da paesi d’oltralpe, come il leggendario Roberto Sàssone, che fuse le due grosse campane della basilica di San Giovanni Evangelista in Ravenna.
Ignoto del VII sec.
Ignoto dell'VIII sec., campana conservata in San Zeno in Verona.
Ignoto del 1081, campana conservata a Castelvecchio in Verona.
Gislimerio, 1149.
Oliviero, 1172.
Gerardo, 1310.
Vivenzio e figlio Vittore da Venezia, 1320, campana conservata in Castelvecchio.
Manfredino, 1320, campana conservata in Castelvecchio.
Jacobus, 1370, campana in servizio in Cattedrale di Verona.
Zanfrancesco da Legnago, 1394.
Zuane di Verona, 1400.
Ignoto, 1423, campane in servizio a San Zeno in Verona.
Ignoto, 1425, campana conservata al museo di Boscochiesanuova.
Pietro da Borges (o De' Bargesi), 1442, campana in servizio al castello di Malcesine.
Gasparino da Vicenza, 1444, campana in servizio a Santa Maria della Scala in Verona.
Michele da Broglio (o Michaelis de Brollo ), 1450, campana in servizio a San Giovanni in Fonte in Verona.
Antonivs da Bologna, 1466, campana in collezione privata in Verona.
Antonio de Viteni da Padova, 1470.
Francesco Capelo da Schio, 1470.
Sebastiano da Padova, 1470, campana conservata in Castelvecchio.
Antonio Zeno, figlio Gerolamo e Michel di Francia, sede in parrocchia san Nicolò, 1488.
I Checcherle, sede borgo San Silvestro, 1488, campana in servizio a San Zeno in Verona.
I De Poli di Venezia – Udine – Treviso, XV sec - in attività, campana in servizio presso Cattedrale di Verona.
I Bonaventurini, sede borgo San Martino in Aquaro, 1520-1630, campana in servizio alla Torre civica di Verona.
I Levi, sede borgo San Silvestro, 1560-1680, campane in servizio a Madonna di Campagna in Verona.
Grassmayr Innsbruck, 1599, in attività, campana in servizio a San Massimo in Verona.
Galvano di Verona, 1600.
Francoise Vitelmi, 1640.
Pierre Potier (o Poitiuro) (sposò vedova Levi), 1640, campana conservata a Castelvecchio in Verona.
I Raineri di Brescia, 1640.
Zuan Maria Quarturoni dai Reloi, 1650.
Giuseppe Plati da Venezia, 1652, campana in servizio a Santa Caterina in Verona.
Bartolomeo Pisenti, sede in via Nuova, 1644-1695, grande campana in servizio alla civica di Bergamo e due a San Nicolò in Verona.
Giuseppe Alessandrini di Verona, 1655.
I De Maria da Vicenza, originari di Brescia, di scuola borgognona, XVII-XIX sec, campana in servizio a Santa Margherita di Roncà.
Cristoforo Murari da Vicenza, 1663, campana in servizio alla torre civica di Vicenza.
I Cantoni da Vicenza, 1700.
Luigi De Robertis da Padova, 1700.
I Franzoni da Manerba, 1673-1745, campana conservata a S. Anna d'Alfaedo.
Pietro Olmo da Trento, 1750, fonde per la parrocchiale di Malcesine.
Lucio De Rossi da Padova (successore di Pisenti), sede borgo san Matteo, 1700-1750, campana in servizio alla civica di Cologna Veneta ed una a Santa Caterina in Verona.
I Ballini dalla Lessinia, 1710, campana in servizio a San Mauro di Saline.
Francesco Grandisoli di Mantova, 1714.
Angelo Poni (allievo di De Rossi), sede in borgo San Matteo, 1720 -1753, campana ancora presso chiesa di San Benedetto in Verona.
I Soletti, maestri dei famosi Pruneri di Grosio, 1725, campana in servizio a Villafranca ed a San Zenetto in Verona.
Vincenzo De Menecchini (o De Menechinis) di Padova, 1748.
Giuseppe Antonio Larducci (allievo di Poni), sede in via Nuova, 1754-1782, campana in servizio a Santa Lucia in Verona.
I Crespi da Crema, 1755-1952, campane in servizio a San Fermo Maggiore in Verona.
Pier Paolo Paglia, 1768.
Antonio Bagatta da Desenzano, 1772.
Giuseppe Ruffini da Reggio, sede in Porta Nuova, 1776-1801, campane in servizio a San Giorgio in Braida in Verona.
I Partilora-Selegari (successori di Ruffini), sede in borgo Santo Stefano, 1776-1850.
Giuseppe Micheletti, 1777-1802 campana in collezione privata a Verona.
Carlo Casali da Ancona, 1794.
I Cavadini (allievi di Ruffini) sede in via di Mezzo Porta Vescovo, 1792-1974.
I Chiappani di Verona, (allievi di Ruffini), sede in via S. Alessio, 1803-1858, campane in servizio a San Giorgio in Braida in Verona.
I Canciani da Venezia, XVIII-XIX sec.
I Colbachini di Bassano, XVIII sec. - 1975, campana in servizio a Chievo, Verona.
I Colbachini da Padova, XVIII sec. - 2006, campane in servizio a Santa Teresa in Verona.
Giovanni Cavadini, sede in via Muro Padri, 1817-1856, campane in servizio presso Torre civica di Verona.
I Barigozzi di Verona, sede in Villafranca, 1822-1825, campana riparata in servizio alla Cattedrale di Verona.
I Capanni Paolo ed Enrico di Reggio Emilia, in attività, campane in servizio a San Giuseppe Extra Moenia in Verona.
Gli Allanconi da Crema, successori dei Crespi, in attività.
I Mazzola, 1987.
I Picasso da Genova, 1993.
In aree limitrofe risultano operanti i seguenti fonditori, forse attivi anche nel veronese:
Lorenzo da Padova (1512, campana in servizio a Praglia),
Johannes Moulin di Borgogna (1520),
Dalle Ore da Vicenza (XVI sec.),
Francesco da Padova (1534),
Stefano Lotaringio (1627),
Giovanni de Pricavey (1640),
Pietro Franchi e Francesco Almi di Udine (1642),
Francesco Marino (1711),
Anton Trabuco da Bormio (1737),
Giacomini di Carnia (1740),
Pietro Filiberti da Brescia (1750),
i Bastanzetti di Udine (1887).
La peculiare filosofia veronese riguardo all’arte campanaria è orientata non alla valorizzazione del suono del singolo bronzo ma all’esecuzione musicale concertistica che rende unico questo metodo di suono.
Le campane veronesi sono sospese ad un contrappeso (corrispondente al 40% del peso della campana) al quale è fissata una ruota cui è collegata una corda che ne permette il movimento. Con l’avvento dell’era moderna tali parti meccaniche sono costruite non più in legno, ma in metallo: ciò influisce sul suono del bronzo limitandone la resa. La brillantezza sonora è ridotta anche dal fatto che, essendo il sistema veronese un montaggio che tende ad usurare molto la campana, i fonditori erano costretti a lavorare con leghe povere di stagno e tipi di sagome che privilegiavano la resistenza alla sonorità ed il suono di battuta rispetto ai toni di risonanza.
Inoltre, la committenza locale esigeva campane dal suono grave con ridotta spesa, costringendo le fonderie a lavorare al risparmio. Si tenga poi conto che, nel sistema di montaggio in uso a Verona, il battente, una volta eseguito il rintocco rimane appoggiato al vaso bronzeo, smorzandone le vibrazioni. I campanili nostrani, infine, non sono provvisti, come in molte altre regioni, di persiane lignee ma le campane sono esposte esternamente sui finestroni, ciò rende mimino l’effetto di risonanza della cella campanaria.
Con tutto ciò si vuole dire che la potenzialità sonora dei nostri bronzi non è mai stata sfruttata al meglio. Proprio questo apparente punto di debolezza può farci rendere maggiormente conto del valore di questo patrimonio: le nostre fonderie hanno realizzato, nonostante queste limitazioni, un gran numero di concerti il cui suono, secondo esperti ed ascoltatori provenienti da ogni dove, è caratterizzato da una bellezza, precisione e personalità difficilmente eguagliabile.
Tracciare una storia campanaria completa su Verona antica è difficile, perché in città vi erano moltissime chiese con campanili, oggi scomparse. Già nel 622, alla morte di san Mauro, le cronache dicono che tutte le campane della città suonarono, nel XII secolo si parla già di segnali che scandiscono i momenti della giornata.
A partire dalla fine dell'alto medioevo, nacque l'idea di dotare le torri di più bronzi, ognuno con una propria funzione specifica.
Ulderico, vescovo di Le Mans, fece fare per tale cattedrale di un coro a ben dodici voci.
Nelle comunità, ogni campana ha sempre svolto un ruolo ben preciso: una annunciava la messa, un’altra suonava all’alba, mezzogiorno ed alla sera, una ai funerali, una alle tre di ogni venerdì e la maggiore in occasione di pericolo.
Verso il X secolo assunse una certa diffusione una peculiare tecnica di suono: era il 'campanò' termine veronese per indicare il carillon, che consiste nel suonare percuotendo le campane da ferme con martelli o con il battaglio. Oggi questa tecnica è scomparsa a Verona da almeno un secolo e mezzo, fiorente resta invece in Lombardia, vicentino, Liguria, ed anche nel resto d’Europa dove trovano larga diffusione i carillon.
Nel 1500, in città, sul campanile di San Zeno maggiore vi erano già sei campane, su quello di Santa Maria in Organo ve n’erano cinque di cui quattro in accordo. Ben forniti erano pure Santa Maria della Scala e Santa Anastasia. Documenti coevi indicano molte torri ospitanti bronzi in accordo maggiore (do mi sol do), di quarta (do fa sol la) od a “quarto” (do re mi sol), già montati con contrappeso e ruota di manovra, da cui calavano, a seconda del peso, una o due corde.
Del 1600 sono i primi testi che descrivono le campane suonate in piedi, ossia fermate con la bocca verso il cielo, facendo musica “come d'organo”.
C'è chi sostiene che il nostro metodo, chiamato “alla veronese” sia storicamente collegato a quello inglese, al quale assomiglia moltissimo. Questa affascinante ipotesi non si basa, però, su nessun documento storico.
Per eseguire un concerto alla veronese è necessario che il numero delle campane in scala musicale diatonica maggiore sia superiore o uguale a cinque, anche se esistono suonate per tre o quattro bronzi. Il repertorio veronese è oggi composto da suonate da quattro a tredici campane in scala musicale, con l’eventuale aggiunta del semitono di settima minore. La maggior parte dei campanili è dotata di sei o nove bronzi, ma ne esistono anche alcuni che arrivano a ben venti note. Curiosa e suggestiva eccezione sono i pezzi composti per “cinque più otto” (re sol la si do re) o “sei più ottavino” (do re mi fa sol la do).
Le notizie su come si presentava il nostro metodo di suono alle origini, ce le fornisce il bibliotecario ed infermiere Modestino Cainer (1798-1844), maestro della squadra campanaria di San Francesco alle Stimmate. Nel 1833 scriveva: "La vigilia di san Francesco con grande allegrezza e contento per il loro armonico e devoto suono si sentì un famoso segno dato parte dai nostri e parte da alcuni intendenti per parte del fonditore". Tuttavia il nuovo metodo non risultava semplice da imparare, infatti: "lunga pazienza e qualche pratica, [...]abbiamo suonato solo le tre campane piccole". Dopo poco però, qualche progresso cominciava a sentirsi: "Il 26 sera, alle 20, furono cominciate le scale ad ascendere alternativamente e discendere e spezzate in quarta per 12 minuti [...] avanziamo sempre nei salti di nota".
Nel 1834 oramai le campane venivano manovrate con discreta sicurezza "Suonammo 3 segni dopo messa, [...] questo fu eccellente".
Alla squadra non mancavano nuove leve che, però, avevano bisogno di tempo per impratichirsi: "La sestina fu data ad un novello (che) si confuse e abbandonò il (segno) cominciato". Ora la squadra, formata da: Modestino Cainer, Carlo Fedelini, Innocenzo Venturini, Francesco Solari, Angelo Casella, era ormai ben collaudata, tanto che "il 13 aprile si cominciò ad apprendere un nuovo e solenne segno. Dio faccia che si apprenda bene per sua maggior gloria […] furono suonate tutte e sei, ma con una nuova musica, più avanzata". Di certo era già in uso la pratica di suono a lutto, come viene testimoniato: "Il 7 marzo 1835 si suonò per la morte del nostro amatissimo e religiosissimo sovrano Francesco I d'Austria, con sommo dolore". Possiamo arguire che i brani fossero imparati a memoria ed eseguiti abbastanza lentamente. Non sappiamo invece che cosa Cainer intenda quando afferma che " ieri abbiamo suonato a sistema antico, rozzo [...] oggi furono dati due segni alla veneziana".
I suonatori manovrano le campane nella sala del suono che, spesso abbellita da arredi e quadri, è situata ad altezza intermedia del campanile ed illuminata da finestre che offrono un panorama sulla città. Il concertista, agendo sulla corda mediante una non facile tecnica, porta e ferma la campana in posizione verticale, cioè con la bocca rivolta verso il cielo. Quando verrà chiamata la sua campana, le farà compiere una rotazione di 360 gradi, riportandola in posizione verticale, producendo in questa maniera un rintocco, che corrisponderà alla nota nel brano musicale. Il suonatore percepisce il comportamento del suo bronzo unicamente mediante la fune di manovra che tiene in mano.
Quando una campana supera i 1050 kg è preferibile che venga manovrata da due persone. Suonare i bronzi è un’arte complessa: se l’esecutore frenasse troppo o troppo presto la campana, oppure non la richiamasse con sufficiente forza, questa non avrebbe slancio sufficiente per ritornare in posizione verticale, ricadrebbe all’indietro provocando una serie di rintocchi fuori programma. Se invece il bronzo non venisse rallentato abbastanza, od in tempo utile, non si fermerebbe nella posizione verticale, ma si ribalterebbe continuando la sua corsa, riavvolgendo la corda sulla ruota e trascinando verso l’alto il suonatore che non se ne fosse avvisto tempestivamente. La squadra campanaria è così organizzata: ogni esecutore gestisce un bronzo, ossia una nota, vi è poi un maestro che chiama in maniera cadenzata i numeri delle varie campane, seguendo appositi spartiti musicali.
Avvio: mediante oscillazioni sempre più ampie i bronzi vengono portati in posizione verticale, un tempo le campane erano portate in piedi una alla volta, partendo dalla minore.
Scalate: vengono eseguite scale dalla nota più acuta alla più grave, 'sempie' (una campana per volta) o 'dopie' (in accordo).
Segno: brano vero e proprio di musica sacra o profana, composto appositamente per campane o adattato, solenne o funebre. Esso dura qualche minuto ed alla fine si conclude in un fiorire festoso e complesso di accordi.
Finale: le campane prendono ad oscillare descrivendo archi sempre più stretti, fino a fermarsi, la maggiore per ultima.
Nella prima metà del XX secolo, leggendari maestri della squadra di concertisti campanari della squadra di Santa Anastasia, come Giuseppe Peroni, Giacomo Tomasini, Pietro Sancassani, Mario Carregari, Emilio Sabaini e Germano Alberti, introdussero notevoli novità esecutive.
Le suonate specifiche: in un concerto di campane di tonalità acuta, quindi di modeste dimensioni, il ritmo di suonata sarà molto veloce, viceversa nel caso opposto.
Anche a parità di peso due bronzi possono comportarsi in maniera estremamente differente per maneggevolezza e velocità. Ciò ha portato alla composizione di brani più o meno adatti ai diversi complessi.
Il ritorno: si tratta di due rintocchi consecutivi di una medesima campana (in gergo “deòlta”) che producono un breve e momentaneo rallentamento nel ritmo di suonata, proporzionale alle dimensioni del bronzo.
La pausa musicale: è una battuta vuota che si inserisce al posto del rintocco di una campana.
Correnti: pezzi in cui ogni campana non suona mai due volte nel giro di cinque battute, ciò permette una maggior velocità di esecuzione.
Crome: quando il maestro chiama tre campane nel tempo che impiegherebbe a chiamarne due, l’ultima dovrà muoversi come venisse a tempo regolare subito dopo la prima, mentre alla seconda spetterà il compito di piazzare il rintocco esattamente in mezzo alle due.
Valzer: suonata in cui ad ogni certo numero di battute vi è una pausa od un ritorno.
Anche Vicenza ha una affascinante storia campanaria, fatta di prestigiosi fonditori come i De Maria e di meravigliosi complessi campanarii come Monte Berico, di grandi suonatori ed anche di un percorso evolutivo che l’ha portata ad adottare il metodo veronese partendo da altre tecniche locali risalenti al XVII secolo.
Benacense-bresciano: le suonate si eseguono a memoria, manovrando le campane direttamente in cella campanaria con le corde e le ruote delle stesse. E’ ancora in uso presso alcune squadre come Gargnano e San Felice.
Nordico: diffuso in Scandinavia, Olanda, Danimarca, Belgio e Paesi Bassi, è un metodo di montaggio e suono delle campane del tutto simile al veronese.
Nel 1600 i documenti parlano già di “gruppi di campanari” i quali erano composti da laici stipendiati, selezionati dopo un attento esame sulla loro dirittura morale. Il loro ufficio era sacro, e questi maestri del suono erano tenuti in grandissima considerazione nella comunità: suonavano le campane, la “voce del Signore”.
1776: nel campanile di San Giorgio in Braida era documentata una squadra campanaria ufficialmente costituita che teneva abitualmente concerti, si tratta della “Società campanaria San Giorgio in Braida”. Questo gruppo risultava formato da persone provenienti dal rione Campagnola, ma anche dai sobborghi. Alla prima metà del XIX sec. erano già molti i campanili ove era possibile praticare il metodo veronese: S. Stefano, Ss. Trinità, S. Anastasia, S. Lucia, Ss. Apostoli, S. Tomaso, Stimmate, S. Lorenzo, S.Maria in Organo, Cattedrale, S. Salvatore in Corte Regia, S.Maria del Paradiso, San Massimo, San Michele, San Giovanni in Valle e San Nazaro. Nacquero quindi varie squadre rionali: S. Giovanni in Valle, S. Nazaro, Stimmate ed i Molinari.
L’ultima metà del secolo XIX vide costituirsi le squadre di Ss. Trinità, S. Apostoli, Filippini, S. Tomaso, S.Maria in Organo, Avesa, San Massimo, San Michele e Quinzano. Partono proprio da quel periodo le cronache del maestro Pietro Sancassani che avrebbe animato la vita campanaria veronese fino al 1967, redigendo un dettagliato diario che è stato pubblicato.
Nel 1893, la fonderia Cavadini fuse per la cattedrale di Palermo un concerto di campane. Nel capoluogo siculo si formò una squadra di concertisti a sistema veronese che operò per circa cinquant'anni, fino alla requisizione dei bronzi durante il secondo conflitto mondiale. A Verona, intanto, tutte le squadre erano state inglobate o collaboravano abitualmente con quella di San Giorgio dalla quale, nel 1914, si staccò un gruppo di giovani che si trasferì in Santo Stefano, prestando servizio anche in Cattedrale. Alla base della scissione vi era una riforma musicale delle suonate a metodo veronese. Nel 1923 le due formazioni entrarono in rivalità per la conquista del campanile di Santa Anastasia, primo concerto cittadino a nove campane: la vinse la vecchia squadra di San Giorgio.
Negli anni successivi i conflitti tra le compagnie di Santo Stefano, Cattedrale (nel frattempo divenuta autonoma) e Santa Anastasia (ex San Giorgio), con i rispettivi maestri Sancassani, Sabaini e Carregari, furono lo scenario della vita campanaria cittadina.
Durante la guerra furono requisite dal governo centinaia di campane che, però, il fonditore Cavadini seppe nascondere e proteggere coraggiosamente fino a guerra finita.
Nel 1942 venne l’auspicata pacificazione: la squadra di Santo Stefano venne conglobata in quella di Santa Anastasia. La via dell'unificazione venne seguita anche dai suonatori della Cattedrale, al tempo diretti dal valente maestro Accordini. Alcuni di loro, però, chiamati “Ribelli”, fondarono una compagnia di suono prima a S. Eufemia e poi a S. Maria in Organo. Tuttavia, appianati gli ultimi dissidi, di carattere economico, raggiunsero anch’essi i loro colleghi, entrando nella loro formazione e portando la squadra ad una notorietà internazionale grazie ad una solida competenza unita ad un'abilità musicale ad oggi insuperate. A partire dal dopoguerra, con l’avvento della crisi dei valori e del disinteresse per le tradizioni, si formò un curioso sistema di affari che è presente anche oggi. Nuove ditte studiarono e cominciarono ad installare dei sistemi per il suono automatico delle campane, portando sull’orlo dell’estinzione la pratica dei concerti eseguiti manualmente. A Verona nel 1956 venne elettrificato il concerto di Tombetta, due anni dopo quello dei Santi Apostoli, nel 1966 fu la volta di San Tomaso e di San Giuseppe Fuori le Mura. Dopo una tregua, nel 1978 vennero messi i motori alle campane degli Scalzi e di Sant’Eufemia, nel 1980 toccò a S. Maria della Scala e, nel 1984, a S. Fermo Maggiore. Il distruttivo scempio si concluse con le motorizzazioni di S. Paolo (1987) e SS. Trinità (2002).
Negli ultimi anni, tuttavia, si sta assistendo ad un lento e graduale recupero al suono manuale di alcuni campanili, ne sono esempio San Tomaso e Santi Apostoli.
La società campanaria di Santa Anastasia, che è il risultato dell'unione di tutte le storiche squadre di città e prima periferia, continua ancora oggi la sua vita nei campanili di Verona, dopo due secoli di una storia che, un po', sa di leggenda. Il gruppo conta una ventina di giovani volontari che, il sabato pomeriggio, eseguono i concerti presso le varie torri campanarie. Alle solennità principali come Natale, Palme, Pasqua, Assunta, Ognissanti ed Immacolata Concezione, vengono formati due gruppi ad ognuno dei quali sono assegnati diversi campanili in cui suonare nel corso della vigilia o della mattina festiva, tenendo conto degli orari delle messe.
Indubbiamente è suggestivo sentire, nelle mattine di festa, riecheggiare botte e risposte da tutte le torri di Verona, ma la realizzazione di questi eventi comporta un lungo lavoro di programmazione ed una corsa che non prevede dilazioni né soste. Questi appassionati, inoltre, si occupano della ricerca e diffusione del patrimonio storico e scientifico dell’arte campanaria, conservando all’interno dei campanili cittadini quadri illustrativi, tabelle tecniche, labari, documenti ed immagini storiche. Organizzano frequenti gite di istruzione e scambi culturali con altre realtà, nonché corsi per allievi suonatori.
Nel 2008 le squadre di Santa Anastasia, Santa Lucia, Tomba, Chievo, San Massimo ed Avesa-Quinzano hanno deciso di formalizzare la loro collaborazione costituendo un’associazione denominata “Scuola Campanaria Verona” come punto di riferimento per i suonatori operanti presso le torri dell'ambito cittadino e di prima periferia. Ciò corrisponde ad un obiettivo che già il sopracitato maestro Sancassani agognava nelle sue memorie quando scriveva che “sarebbe desiderabile che tutti i campanari di città si riunissero in un unico gruppo”.
Discorso a parte va fatto per il suono solenne in Cattedrale che avviene ad opera dei “Suonatori di Campane della Cattedrale di Verona” la cui compagnia è formata da suonatori esperti reclutati di volta in volta in ambito diocesano che provvedono anche a curare un prestigioso museo di arte campanaria allestito all'interno della torre.
Ecco l'elenco (aggiornato al 2010) dei campanili presso cui regolarmente presta servizio la Scuola campanaria Verona. I complessi di tre campane del Cimitero Monumentale, San Pietro Martire e Porto San Pancrazio sono oggetto di una attività occasionale.
S. Anastasia, 9 campane in do3, campana maggiore 1787 kg, 143 cm, 1839 Cavadini Vr.
S. Giorgio in Braida, 6 campane in Fa#3, campana maggiore 609 kg, 101 cm, 1776 Ruffini, Chiappani Vr.
S. Nicolò all'Arena, 6 campane in do3-, campana maggiore 1822 kg, 147 cm, 1839 Cavadini Vr.
Ss. Nazaro e Celso, 6 campane in re3, campana maggiore 1135 kg, 127 cm, 1849 Cavadini Vr.
S. Francesco alle Stimmate, 6 campane in sol3, campana maggiore 480 kg, 94 cm, 1833 Selegari Vr.
Pieve dei Ss. Apostoli, 6 campane in lab3, campana maggiore 400 kg, 79 cm, 1817 Partilora Vr.
S. Lorenzo martire, 5 campane in sib3, campana maggiore 265 kg, 77 cm, 1830 Selegari Vr.
S. Giovanni in Valle, 6 campane in fa3, campana maggiore 650 kg, 105 cm, 1846 Cavadini Vr.
S. Tomaso cantuariense, 10 campane in reb3+, campana maggiore 1383 kg, 134 cm 1930 Cavadini Vr.
S. Luca evangelista, 6 campane in lab3, campana maggiore 443 kg, 92 cm, 1939 Cavadini Vr.
Ss. Lucia ed Elisabetta, 6 campane in re3-, campana maggiore 1216 kg, 127 cm, 1777 Larducci Vr.
S. Martino in Avesa, 9 campane in reb3, campana maggiore 1485 kg, 135 cm, 1862 Cavadini Vr.
Cattedrale, 9 campane in la2-, campana maggiore 4566 kg, 190 cm, 1931 Cavadini, De Poli Tv.
S. Bernardino, 6 campane in mi3, campana maggiore 771 kg, 110 cm, 1907 Cavadini Vr.
S. Giovanni battista in Tomba, 6 campane in reb3, campana maggiore 1120 kg, 127 cm, 1885 Cavadini Vr.
S. Antonio abate in Chievo, 9 campane (più semitono) in mib3-, campana maggiore 1050 kg, 122 cm, 1892 Cavadini, Colbachini Vi.
S. Massimo, 10 campane in do3-, campana maggiore 1547 kg, 140 cm, 1869 Cavadini, Grassmayr Innsbruck.
San Fermo minore ai Filippini, 6 campane in sol3, campana maggiore 498 kg, 95 cm, 1933 Cavadini Vr.
Monastero di S. Maria in Organo, 6 campane in mi3, campana maggiore 690 kg, 108 cm, 1899 Cavadini Vr.
S. Maria del Paradiso, 6 campane in la3, campana maggiore 306 kg, 82 cm 1898 Cavadini Vr.
Istituto S. Carlo, 5 campane in fa4, campana maggiore 70 kg, 50 cm, 1940 Cavadini, Grassmayr Innsbruck.
In molte parrocchie dalla fine della seconda guerra mondiale è stato installato il “sistema elettrico di suono delle campane”.
Tale sistema di elettrificazione totale del concerto di campane, oltre ad avere costi elevatissimi di montaggio e manutenzione, esercita sollecitazioni di carichi doppi in direzione verticale e tripli in direzione orizzontale, con immancabili gravissimi danni alla statica della torre campanaria, all’intelaiatura ed alle campane stesse. Inoltre l'affidabilità di tali impianti è pressoché nulla a giudicare dal loro brevissimo periodo di funzionamento. In ogni caso tale sistema non riesce mai a riprodurre in maniera accettabile i concerti.
Esistono, invece, degli impianti a “doppio uso con slitta” oppure ad “elettro martelli esterni” che sono discreti, pratici, economici, sicuri, affidabili e, cosa non meno importante, preservano la possibilità di suonare le campane manualmente.
Oggi sono in rapida crescita gruppi di giovani concertisti di campane, che contribuiscono a far riscoprire la bellezza del suono manuale ed il piacere di un creativo lavoro di squadra che costituisce occasione di aggregazione, amicizia e, perché no, riavvicinamento ad un sano ambiente. Inoltre, la presenza di suonatori, assicura una competente, costante ed accurata vigilanza sulla manutenzione. Speriamo che, come altre hanno già fatto, anche la nostra Curia e le nostre Istituzioni intervengano direttamente nel promuovere questa tradizione “gioiello della liturgia veronese".
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Bib-TS-486 - Monografia di Nicola Patria