Famiglie di Fonditori storici - Regione Veneto
AREA II - ARCHIVIO STORICO (ARS)
Cap. ARS-G20 - Rassegna fonditori storici - Pag. ARS-G20.19
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(VR) - Verona - Famiglia Partilora - di Nicola Patria
A Verona esisteva, nel settore della fusione di campane, tra il 1785 e il 1822 la Famiglia Partilora (allievi di Ruffini, Santo Stefano).
Il sigillo, palesemente neoclassico, del fonditore è ispirato direttamente a quello del suo maestro Giuseppe Ruffini, che risale alla seconda metà del XVIII° secolo. Si deve ricordare che Ruffini non lasciò discendenti, ed il ritrovare nei lavori del Partilora un sigillo simile a quello del maestro conferma il fatto che, fra tutti i celebri allievi, fu egli l'eletto ad esserne l'erede artistico.
Sebbene più semplice di quello del predecessore, il marchio, usato solo nelle opere di maggiori dimensioni, presenta una simbologia ricca di significati.
Partendo dal basso, troviamo un trapezio boccolato, di immaginazione lapidea, con inscritto il nome dell'artefice. Probabilmente simboleggia un altare, elemento comune a molte religioni. La scritta dice: PETRVS ANTO(nio) PARTILORA FUN(ditor). Ossia, Pietro Antonio Partilora fonditore.
Poggiati sopra a questo vi sono due Fauni silvani, ossia degli uomini-capra. Tali entità della mitologia classica rappresentano l'essenza della natura. Con la terra (e sue varietà, in ispecie quelle nitrose) si prepara lo stampo di una campana, dal fuoco il suo bronzo nasce, con l'acqua viene benedetta e nell'aria effonde il suo canto; ecco i quattro elementi per eccellenza.
Un giorno, un fauno, che potremmo accostare all'uomo naturale, si innamorò di Syring, una ninfa dell'acqua, in cui si potrebbe intravvedere il battesimo e, quindi, la conversione. Poichè Syring era troppo pura per concedersi ad un essere silvano, si tramutò in una canna palustre. Il vento, soffiando tra questi cespugli, ululava un canto soave e triste. Il fauno, non sapendo quale giunco fosse quello giusto, ne prese sette (numero sacro cristiano e, pure, numero delle note di una scala diatonica maggiore), li unì e formò uno strumento musicale, la siringa, dal quale mai più si separò. Ecco che un essere selvatico, tramite la musica, si elevava alla purezza.
Il fauno di sinistra suona, appunto, il flauto di Pan, mentre, quello di destra, soffia in delle launeddas. Queste sono uno strumento antichissimo, composto da diverse ance ricavate dalla canna palustre, che sono sopravvissute unicamente nelle tradizioni della Sardegna.
Il tutto è circondato da quello che, in veronese, si definisce un "giavasco" vegetale, come a richiamare l'idea bucolica di un giardino incantato, al centro del quale, in un ovale laureato, troneggia l'autoritratto di Partilora. Alla base vi è un cardo, simbolo di prosperità. Qui e là, tralci d'uva ricordano la passione sacramentale eucaristica.
Nel registro superiore, che è anche l'ultimo, scorgiamo due particolari: una campana ed un ramo d'ulivo, che sta a significare pace, purezza ed armonìa tra il Dio di Noé e l'uomo.
I Partilora - Selegari: Anton Maria Partilora (+ tra 1801 e 1806), veronese, conviveva con due sorelle fioriste finchè cominciò ad effettuare fusioni assieme al Ruffini, del quale era l’allievo prediletto: degno di nota è il bel concerto ancora in uso a Casaleone e la campana civica di Canneto sull'Oglio.
1796 Campana La#4 crescente, fusa con Giuseppe Ruffini censita in questo portale
Il nipote, Pietro (1765-1822), fu il titolare di una propria fonderia tra il 1802 ed il 1822 ubicata nella contrada del "Cigno" in parrocchia di Santo Stefano, a meno di 40 metri da quella dei Chiappani. Leggendario resta il concerto fuso nel 1821 per Santa Anastasia in Verona, composto da 5 campane in mib3, ultima opera della sua vita. Esso venne rifuso nel 1833, ma gli echi della sua bellezza sia sonora che estetica si tramandano ancora oggi.
Altre opere ben riuscite furono quelle tutt’oggi in attività per i Ss. Apostoli in Verona e la parrocchiale di Castion.
Nel 1817 fuse il concerto di 4 campane per la parrocchiale dei Santi Apostoli di Verona (VR).
Alla sua morte, nel 1822, lasciava tutto al socio Antonio Selegari (1780-1854) ed al figlio Antonio.
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