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 Archeologia fusoria

AREA II - ARCHIVIO STORICO (ARS)

Cap. ARS-C01 - Archeometallurgia - Pag. ARS-C01.13

Gli argomenti trattati sono stati inseriti da Ing. Arch. Michele Cuzzoni nel 2011 - © Copyright 2007- 2024 - e sono desunti dalla documentazione indicata in Bibliografia a fondo pagina


 

Fonderie di campane negli scavi archeologici di Castelnovo Sotto (RE)

 

INDICE:

 

Monografia di Enrica Cerchi

 

1. Introduzione

 

Nella primavera del 1990 durante lavori di risistemazione del Parco della Rocca, presso il palazzo municipale di Castelnovo di Sotto (RE), sono venute in luce fortuitamente alcune sepolture ad inumazione. In seguito a tale ritrovamento si è proceduto al controllo sistematico di tutta l’area interessata dai lavori edili, cui ha fatto seguito lo scavo archeologico dei resti venuti in luce, finanziato dall’Amministrazione Comunale. Lo scavo, condotto da professionisti della cooperativa Archeosistemi (1), è stato diretto dal Prof.Sauro Gelichi, allora funzionario della Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna.

L’area indagata si trovava alla base di una collina artificiale alta piú di 5 m, creata nel XVIII secolo per isolare la ghiacciaia del paese, costruita nell’ambito di una grande ristrutturazione urbanistica dalla quale ebbe origine anche l’attuale Parco della Rocca, allora orto botanico dei Marchesi Gherardini.

Nel medesimo periodo erano stati demoliti gli edifici che occupavano la zona, tra i quali l’antica Rocca forse di origine altomedioevale ( BERTOLOTTl 1981, pp.14-18 con bibl.prec.).  Alcuni studiosi locali, basandosi sulla tradizione popolare, ritengono comunque che l’ attuale palazzo municipale possa insistere direttamente sulle fondazioni del castello originario, del quale ricalcherebbe fedelmente l’assetto planimetrico (BERTOLOTTl 1981, pp.14-18).  Tali interventi, testimoniati da spessi strati di macerie livellate rinvenuti tutt’intorno alla ghiacciaia (UUSS 3 - 64 - 75 -85 - 86), avevano pesantemente intaccato i depositi medioevali, interrompendo la continuità della sequenza stratigrafica.

Lo scavo è stato suddiviso in due Settori: Nord, presso l’ingresso della ghiacciaia; Sud, l’area compresa tra la ghiacciaia e la recinzione del Parco Rocca. La scarsità del materiale raccolto, unitamente a quanto appena ricordato, non ha facilitato l’attribuzione di una cronologica assoluta ai resti venuti in luce che dovettero ricoprire comunque un arco di tempo abbastanza ristretto. Sempre per tali motivi risulta dìfficoltosa anche una rigida periodizzazione degli interventi succedutisi nell’area. Nonostante ciò, i dati emersi dallo scavo offrono un contributo importante per la conoscenza della storia e dell’urbanistica di Castelnovo Sotto in età medievale.

 

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La nascita di Castrum Novum è da ricondurre alla tendenza ad erigere fortificazioni - non necessariamente con opere in muratura - in seguito alle invasioni degli Ungari, all’inizio del X secolo. L’appellativo Novum veniva in genere attribuito ai castra eretti nella seconda metà del secolo spesso senza autorizzazione regia (SE T T I A 1984, pp.101-102, ). Proprio a quel periodo dovrebbe risalire la nascita di Castelnovo Sotto che si trova citato per la prima volta in un documento datato 14 settembre 980 (TORELLI 1921, pp. 183-184) 2. L’abitato medioevale di Castelnovo dovette poi svilupparsi in stretto collegamento con il castrum, tanto che in un documento del XIII sec. riguardante le Decime del Vescovo di Parma, si cita una cappella di S.Andrea “de Castro Novo” (DREI 1920, p.31). Vari altri documenti e cronache dei secoli XIII e XIV menzionano la residenza fatta forse edificare nel 1318 dai Da Correggio (BERTOLOTTI 1981, p.17), mentre l’epoca della costruzione della Rocca potrebbe essere confermata da una lapide del XIV secolo, scolpita in onore del Vescovo di Parma Sanvitali ed ancora presente nell’androne del Municipio di Castelnovo (BERTOLOTTI 1981, p.17).

Molto importante per la comprensione del susseguirsi di demolizioni e ricostruzioni nel settore circostante il palazzotto signorile è il “Breve racconto istorico della fondazione di Castelnovo Sotto dé suoi Domini “ di Benedetto Pallaja di S. Agata (3). La cronaca del Pallaja narra in modo dettagliato tutti gli avvenimenti legati alle trasformazioni della zona e riferendosi all’anno 1783 dice:”inoltre nell’appianare all’intorno della Rocca alla ghiacciaia, ed altre terre di questa M(olto)  S(erenissima) Comunità di C(astel)n(ovo), ove evvi il Pubblico Orologio e la Campana, che suona per li Consigli e per batterla dando come si suole dire a campana martello, si son trovate in detto sito alcune monete d’argento piccole del valore di soldi 15 di moneta corrente di Reggio ed altre al doppio che sono coniate da una parte con delle croci lunghe quanto le monete...Poscia si sono ritrovate sei tronchi di belle colonne fatte di pietre cotte alte un braccio, e più che erano già sepolte sotto terra in poca distanza da detta torre circa 4 braccia verso ponente. Queste colunne io B. Pallaja S.Agata le feci trasferire al mio Casino di Campagna in S.Savino. Che si arguisce che potesse essere la Chiesa Parrocchiale di questa terra di C(astel)N(ovo) massime al tempo del primero nascimento di terra, a tutta ragione si ha da credere, mentre ali’interno di detta Chiesa che un giorno fu oratorio di Corte fatto dal D(uca) Sig(nor) Sigifredo ... Si arguisce che vi fosse una Chiesa che era oratorio di Corte in distanza b(raccia) 20 dalla detta Rocca, passasse oltr’essere Chiesa Parrocchiale, quale benché fosse piccola, fosse anche sufficiente, mentre anche pochi dovevano essere li abitatori d’allora. ...per testimonianza dei lavoranti appianatori del detto terreno della Rocca ... il grande numero delle ossa e crani de’ morti che ritrovati sottoterra, e parte in depositi a bella posta fatti con le muraglie all’intorno, e coperti di mattoni grandi di pietra con anche de’ quadrelli posti a schiena d’asino, come si suol dire ritrovanda ancora de’ scheletri di corpi interi, à veduta del Sìg(nor) Marconi nostro Chirurgo, come quelli che unì tutte le ossa per formare il corpo intiero, come fanno a guisa di Notomia. Si ricava pure, che detto Oratorio di Corte fosse divenuto una Chiesa, mentre, si arguisce che detta Torre pubblica fosse aderente alla medesima; non essendo distante che B(raccia) 4 atteso che vi è un uscio in oggi chiuso che in allora doveva esser aperto, che passava da detta Torre in essa Chiesa, all’altezza della Cantoria o Pulpito.Tanto pur si ricava che fosse Chiesa, mentre d(etto) sito è stato ritrovato un medaglione di piombo, col suo buco, per cui passava il Cordone o Cordella per tenerla unita al Breve di qualche indulgenza o Benefizio annesso alla predetta Chiesa. Avendovi da una parte due faccie colli nomi di S.Pietro e S.Paolo e dall’altra sta impresso “lnnocentius PP IIII” .

Nel XVIII secolo quindi erano già venuti in luce e, soprattutto, erano stati asportati alcuni “tronchi di colonne” in cotto che vennero attribuite ad un “oratorio di Corte”, non è chiaro se a causa delle ridotte dimensioni delle colonne o dell’ambiente da esse delimitato. Dal racconto del Pallaja si ricavano comunque dati che completano ed arricchiscono sia le notizie delle fonti documentarie sia le informazioni desunte dallo scavo; pertanto sembra opportuno elencare gli elementi maggiormente significativi:

- Rinvenimento di 6 colonne in mattoni a distanza di 4 Braccia verso W da una torre campanaria, distanza dalla Rocca circa 20 braccia;

- Ritrovamento di “grande numero” di inumati, alcuni anche entro cassa laterizia con copertura in mattoni di modulo romano, in qualche caso disposti alla cappuccina;

- Presenza di torre campanaria, ancora in uso, ed ipotesi che potesse trattarsi del campanile dell’antica chiesa;

- Rinvenimento nei pressi dei resti della chiesa  di sigillo in piombo di Innocenzo IV (1242-1254);

- Recupero nella zona di un Ducato di Camillo Corrcggi, databile all’incirca tra 1550 e 1605, attestante i continui rimaneggiamenti, spesso non documentati dalle fonti, subiti dall’area.

 

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Innanzi tutto si segnala la presenza di un generico livello di frequentazione di età romana, indiziato dal recupero dì minuti frammenti di ceramica a pareti sottili avvenuto durante la demolizione dell’angolo S/ W della recinzione del Parco della Rocca e da un frammento di spalla di lucerna di tipo Firmalampe venuto in luce nella zona Nord. Tali materiali databili all’epoca romana potrebbero semplicemente attestare la presenza di una villa urbano-rustica in un’area non troppo lontana dall’attuale centro storico del Paese. Lo scavo ha poi permesso di individuare quattro principali periodi insediativi, articolati in fasi.

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In base alla sequenza stratigrafica potrebbe essere pertinente alla fase A del Periodo 1 una struttura muraria (US 82) rinvenuta nel Settore S. Si tratta di un muro realizzato in pezzame di laterizi di modulo romano legato da malta piuttosto magra, conservato per una lunghezza massima di m 2,50 circa. Presentava orientamento in senso Est-Ovest ed aveva una sottofondazione costituita da frammenti laterizi legati da argilla bruna alla quale si appoggiavano cinque corsi di fondazione.

Potrebbe appartenere alla Fase A del primo periodo anche l’impianto originario della necropoli del Settore N, attestato da almeno una tomba a fossa messa in luce dal mezzo meccanico ad una quota sensibilmente inferiore rispetto alle altre, contenente inoltre alcuni frammenti di un oggetto in ferro molto corroso. La presenza di resti strutturali forse connessi a sepolture induce ad ipotizzare che il muro 82 fosse pertinente ad un edificio sacro.

 

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In questa fase venne demolito l’alzato del muro 82 e, probabilmente, anche l’edificio al quale era connesso. Nel Settore Sud appartengono alla Fase B le US 95 e 97, costituite da abbondanti frammenti laterizi in matrice argillosa con carboni, (spessore circa 20-30 cm), dovute ad uno stesso intervento distruttivo con successivo livellamento delle macerie.

Nel Settore Nord tale intervento è indiziato da uno scarico di frammenti laterizi di modulo romano con fratture a spigolo vivo (US 41), avente densità variabile e dimensioni massime di m 5 x 1,40. Lo scarico 41, pur rimanendo al margine sudorientale delle tombe, ricopriva in parte alcune delle fosse più esterne (ad esempio t.4 ) , risultandone pertanto posteriore.

 

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Il ritrovamento più importante pertinente a tale fase è costituito da un troncone di colonna in laterizi venuta in luce nel Settore Sud. La colonna poggiava su di un plinto costituito da un blocco di arenaria di forma pseudotrapezoidale (US 80) che era a sua volta poggiato sul preesistente muro 82, cui era legato da un duplice strato di calcestruzzo di circa 6-8 cm di spessore.

La colonna (US 81), conservata per un massimo di 5 corsi, era realizzata in mattoni (spessore cm 6,5 circa) con tracce di scalpellature a spina di pesce, legati da malta grigia piuttosto compatta. Il diametro massimo era di m 0,60, la base era decorata da un toro a sezione triangolare, realizzato sempre in laterizi. Sulla superfície esterna si sono rilevate tracce d’intonaco dipinto di bianco - con abbondante calce - in cattivo stato di conservazione. Non si sono rinvenuti resti consistenti di piani pavimentali in fase con 81; i due livelli centimetrici di malta biancastra (UUSS 104-106) sembrano però da ricondurre ad un battuto piuttosto “povero” oppure ai resti della preparazione di un pavimento spoliato in antico.

La struttura 81 dovrebbe essere pertínente ad un edificio di culto del quale non si sono trovati altri resti strutturali durante lo scavo, forse perché asportati alla fine del XVlII secolo come ricorda il Pallaja. Il diametro della colonna, apparentemente esiguo, trova comunque riscontri in edifici sacri di notevole rilievo quali, ad esempio, il complesso di S.Stefano a Bologna; le colonne di S.Stefano (4)  hanno infatti diametro variabile tra i m 0,52 e 0,56 (BERGONZONI 1987, pp. 51-57). I lavori di cantiere per la rimozione della recinzione del Parco della Rocca hanno riportato in luce,nella zona sudoccidentale del Settore Sud, due tronconi di muro in ciottoli di fiume e blocchi di malta (US 91) conservati per un unico corso e danneggiati dal passaggio della linea telefonica. La struttura 91 era conservata per una lunghezza massima di m 4,40x0,80 di larghezza e mostrava evidenti elementi di reimpiego nell’utilizzo di blocchi di malta grigia con inclusi minuti frammenti laterizi e ghiaia. Potrebbe trattarsi della fondazione della facciata dell’edificio sacro, realizzata con tecnica edilizia differente da quella dei muri interni (peraltro riutilizzati da periodi precedenti). In tal caso le tombe 9, 10 e 12 verrebbero quindi a trovarsi all’esterno della Chiesa.

Non si è trovata traccia di elementi datanti negli strati di questa fase; sicuramente la colonna è posteriore al muro 82 ed è anteriore allo strato limoso (US 86=60=63=71), ultimo livello precedente la costruzione della ghicciaia. Bisogna poi ricordare che la stratigrafia a Sud della colonna era stata asportata quasi del tutto dalla recinzione del parco e dalla strada limitrofa.

È possibile quindi avanzare ipotesi cronologiche basandosi unicamente sui dati tipologici della base di colonna di Castelnovo Sotto che, ad ogni modo, risulta assai poco diffusa. Si è potuto infatti istituire un unico confronto, tra l’altro non del tutto puntuale, con le basi dei pilastri della “Rotonda” di S.Lorenzo a Mantova. Le colonne di S.Lorenzo sono realizzate in laterizi con la superficie scalpellata a spina di pesce ed hanno un toro a sezione triangolare, sempre in cotto; qualche analogia è stata riscontrata anche tra i plinti su cui poggiano le colonne stesse (CHIERICI 1978). La Chiesa di S.Lorenzo a Mantova, detta la “Rotonda” per la caratteristica pianta centrale, fu fatta costruire da Matilde di Canossa nel 1083 (QUINTAVALLE 1991, p. 55); ebbe poi alterne vicende che culminarono in un pesante intervento di restauro effettuato agli inizi di questo secolo per ripristinarne l’aspetto originario (CHIERICI, 1978 p.292). Sembra allora che anche l’edificio religioso di Castelnovo Sotto possa esser fatto risalire all’epoca romanica tanto più che tale inquadramento cronologico risulta plausibile anche per le sepolture pertinenti alla medesima fase. Si tratta di tombe a fossa terragna orientate liturgicamente ; gli inumatí erano deposti in posizione supina con il capo ad Ovest. Non si sono trovati elementi di corredo anche se in qualche caso i riempimenti delle fosse hanno restituito frustoli di ceramica grezza.

La densità delle tombe aumentava procedendo da N/E verso S/W dove si sono individuati tre livelli sovrapposti di inumazioni ; si sono scavate in tutto 25 tombe in circa 23 mq. La pluristratificazione delle sepolture e la loro concentrazione ha reso quasi impossibile l’individuazione del1e singole fosse dato che il terreno aveva ormai assunto colore e consistenza uniformi, infatti soltanto la fossa de11a t.6 appariva intatta e chiaramente leggibile. Gli scheletri erano in genere articolati con le mani incrociate sul bacino, le ginocchia unite ed i piedi sovrapposti; è quindi molto probabile che i defunti fossero avvolti da un sudario o da bende prima dell’inumazione. La posizione del capo era generalmente sopraelevata rispetto al resto del corpo, pertanto il fondo delle fosse doveva essere inclinato.

Al momento dello scavo non si sono rilevate tracce di fibre vegetali né di concentrazioni di carboni, mentre è stato recuperato un unico chiodo in ferro; sembrerebbe quindi da escludere la presenza di bare lignee. Bisogna comunque tenere conto delle condizioni generali del suolo della necropoli e della possibilità che tali casse potessero essere costruite ad incastro, senza usare elementi in ferro.

In due casi (t.8 e 22) si è documentata la presenza di frammenti laterizi sui lati e sul fondo della fossa : non è chiaro se avessero la funzione di semplice delimitazione dello spazio oppure potessero servire per un migliore alloggiamento di una eventuale bara lignea. Un’unica tomba a cassa (t.11 ) è venuta in luce nel Settore S, la sepoltura era stata aperta ed intaccata in antico dalla costruzione di una fornace per campane (cfr.Periodo 2, Fase B). La cassa della t.11 presentava orientamento EW ed era costituita da frr.laterizi di modulo romano, legati da malta giallina e sabbiosa- in tutto simile al legante di US 82 - con muretti laterali conservati per un massimo di cinque corsi in altezza. La sepoltura era plurima, con almeno cinque scheletri deposti supini con il capo a W, le inumazioni più recenti avevano naturalmente disturbato le più antíche e le ossa erano in pessimo stato di conservazione. La presenza della cassa laterizia potrebbe indicare una differenza di rango dei defunti in essa deposti, ipotesi che sarebbe confermata anche dal fatto che la sepoltura si trovi all’interno dell’edificio religioso.

La maggior parte delle tombe di Castelnovo appartiene al tipo 10 del Brogiolo, con qualche eccezione riferibile al tipo 9 (B R O G I O L O 1 9 8 4 , Tav.7); inutile dire che entrambi sono privi di precise collocazioni cronologiche (B R O G I O L O 1 9 8 6 ,p.526) (5). Gli elementi per fornire una datazione della necropoli sono molto scarsi: il suolo nel quale erano contenute le sepolture (US 7a) ha comunque restituito qualche frammento di ceramica grezza e, in particolare, un frammento di parete in pietra ollare. Tali materiali consentono soltanto una generica attribuzione all’età medioevale, l’ambito cronologico può comunque venire ristretto ai secoli XI-XIII per l’evidente lagame con l’edificio di culto descritto sopra.

Potrebbe essere pertinente alla Fase A, benché non esistano elementi sicuri per una datazione più precisa, anche la sepoltura di un neonato (t.26), deposto nei pressi della colonna sopra al muro 82 e coperto da un coppo.

 

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In un momento non di molto successivo alla costruzione della chiesa vennero realizzate, a S/ E della medesima, almeno due fornaci per campane. La più antica, danneggiata sul lato Ovest dalla recinzione del Parco della Rocca, era costituita da un canale centrale (m 2,80x0,50) lungo il quale si aprivano due pozzi circolari pressoché adiacenti; le sponde del canale tra i pozzi erano rinforzate da mattoni (cm 14x28x6) disposti di taglio. Il pozzo occidentale (A), in cattivo stato di conservazione, aveva un diametro di circa m 1,50 ed era suddiviso in quattro parti da altrettanti muretti (UUSS 120,128-130) in frammenti di mattoni di modulo analogo al precedente privi di legante. La seconda fossa circolare (B: diametro m 1,10 circa) presentava sempre quattro canaletti radiali suddivisi da muretti in frammenti di mattoni (UUSS 126,127,136,137). Le pareti di quest’ultimo pozzo erano in argilla lisciata, cotta dal contatto diretto con il fuoco per uno spessore di circa 10 cm.

La fornace era orientata in senso N/O-S/E, con imbocco ad Ovest. Il tetto del riempimento (US 116) era composto da abbondanti frammenti di concotto, scorie di bronzo e, soprattutto, da frammenti dello stampo in argilla utilizzato per la fusione della o, più probabilmente, delle campane. Al di sotto di 116 si trovava un riempimento sabbioso (US 122) che sigillava il fondo del canale (US 125) costituito da un strato di cenere e carboni dello spessore di 4/5 cm.

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Al pozzo orientale (B) si sovrapponevano le strutture di un’altra fornace (la differenza di quota tra le due fornaci era di circa 40 cm), evidentemente successiva, che presentava il medesimo orientamento della precedente ma aveva l’imbocco collocato ad Est; il lato meridionale era stato danneggiato da precedenti lavori per la posa di cavi telefonici. Tale struttura era costituita da un canale di m 1,60 x 0,40 che si apriva in un pozzo circolare (diametro max. conservato m 1,30), suddiviso da due muretti (UUSS 117 e 133) in mattoni (cm 14x28x6) prevalentemente frammentarii privi di legante. Le pareti del pozzo erano sempre in argilla lisciata, cotta dal contatto diretto con il fuoco. Sui muretti laterali si è evidenziata una traccia di carboni ed argilla cotta da riferire probabilmente all’impronta lasciata dallo stampo per la fusione della campana.

Abbondanti frammenti di tale stampo sono stati rinvenuti, insieme a scorie di bronzo, anche nel riempimento di quest’ultima fornace (US 135); si tratta per lo più di blocchi di argilla cotta di colore bruno (dimensioni medie cm 8x5), con superficie interna lisciata: non si è riscontrata la presenza di decorazioni e, in genere, lo stato di conservazione dei pezzi non era buono.

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Una volta smesso l’uso cimiteriale dell’area esterna all’edificio religioso (Settore N ) la zona immediatamente a S/ E venne utilizzata a fini abitativi. Sia in sezione che nell’area compresa tra il Sett. Nord e quello Sud, si è individuato un muro in ciottoli di fiume legati da scarsa argilla grigiastra (US 48, Fig.2) collegato ad un’alternanza di strati piano paralleli argillosi nerastri, fortemente organici e limosi giallo-verdi sterili (UUSS 42-47 e 64-65). La struttura 48 era stata pesantemente intaccata da una fossa di grandi dimensioni (UUSS 49/50) che ha restituito materiale moderno ed ha asportato completamente anche la stratigrafia a S/ E del muro suddetto.

Al tetto dell’US 44 (livellamento sopra il piano 42) è stato scavato un focolare (US 45) costituito da uno strato di terreno rubefatto (spessore cm 6 circa) avente forma quadrangolare  e dimensioni massime di m 0,80x0,70. AI tetto del concotto 45 è stato anche messo in luce un sottile strato di cenere (US 43). L’alternanza dei vari piani d’uso e la presenza del muro in ciottoli attestano l’esistenza di un edificio che doveva avere alzato in legno, ipotesi basata soprattutto in considerazione della tecnica costruttiva.

Purtroppo, ancora una volta, mancano i dati per stabilire una cronologia assoluta della Fase C; durante la pulizia superficiale successiva all’intervento del mezzo meccanico, si è rinvenuto al tetto della sequenza, presso il muro, un microframmento di maiolica arcaica che può costituire il termine ante quem . Dato poi che il termine post quem è costituito dalla necropoli del Sett. N, la struttura descritta sopra può essere datata tra la fine del XIII e gli inizi del XV secolo.

 

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In seguito al ritrovamento del muro 91 (vedi sopra) si è deciso di proseguire l’indagine archeologica anche al di sotto del piano stradale dell’attuale strada che collega le Piazze IV Novembre e Prampolini, dove si è rinvenuta una poderosa struttura in mattoni e ciottoli di grandi dimensioni legati da abbondante malta, orientata in senso Nord-Sud (US 123), non è chiaro se avesse demolito il muro 91, oppure se fosse ad esso collegato. La fondazione 123, conservata per un’altezza massima di m 1,15, aveva il basamento in mattoni di cm 28x13,5x6, mentre i due corsi superiori erano in ciottoloni e blocchi di pietra lavorata. Era costituita da una struttura orientata Nord-Sud (lunghezza massima indagata m 4,60x1) che si legava ad un altro muro avente orientamento Est-Ovest, indagato in minima parte, largo m 1,20.

Date le dimensioni della trincea non è stato possibile individuare la fossa di fondazione, mentre presso l’angolo settentrionale il muro presentava chiari segni di una successiva spoliazione. La struttura 123 potrebbe venire interpretata come campanile; tale ipotesi appare però piuttosto azzardata per la scarsità degli elementi in nostro possesso. Il racconto del Pallaja, poi, colloca la torre campanaria in una zona più occidentale, distante pochi metri dalla Rocca; posizione che potrebbe confermare anche le altre ipotesi avanzate in precedenza riguardo la chiesa romanica, la cui planimetria si sviluppa ad ovest della facciata 91 (quindi anche a W di 123).

Sulla base del modulo dei laterizi utilizzati nonché per la sua mole, il muro 123 potrebbe quindi essere riferito ad una probabile torre databile a non prima del XIV secolo.

 

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I dati ricavati dallo scavo dallo scavo del 1990, anche se frammentari, forniscono un contributo sino ad oggi unico per la ricostruzione delle vicende che si succedettero nel centro di Castelnovo Sotto. La presenza di una prima fase di necropoli sembrerebbe da ricondurre ad un edificio sacro di cui sarebbe venuto in luce soltanto il muro 827 ; non esistono comunque elementi sufficienti per formulare ipotesi sulla datazione di queste strutture.

In un secondo momento (Periodo 2) tale edificio, pur mantenendo la medesima destinazione, avrebbe subito profondi mutamenti che avrebbero portato alla costruzione di una chiesa a più navate (8). La datazione all’età romanica è proposta sulla scorta della tipologia della colonna. Durante la fase d’uso della Chiesa le zone adiacenti vennero utilizzate come cimitero, con densa distribuzione di sepolture.

I dati di scavo, unitamente alle indicazioni del Pallaja, inducono a pensare che la chiesa romanica si sviluppasse da W ad E procedendo verso la Rocca ; sia le colonne che la presunta torre campanaria venute in luce nel XVIII secolo non dovevano distare che una decina di metri, o poco più, dal perimetrale del Palazzo (9).

In seguito, almeno una parte della necropoli venne abbandonata e poi utilizzata per un’abitazione, avente muri con fondamenta in ciottoli, alzato ligneo e pavimenti in terra battuta. A causa della mancanza di rapporti stratigrafici diretti, non è possibile stabilire con certezza se tale edificio sia sorto quando ancora la chiesa era in uso e quindi fosse ad essa collegato, oppure se sia stato costruito dopo l’abbandono del luogo sacro. Di particolare interesse risulta anche il rinvenimento delle fornaci per campane (10), strutture relativamente poco conosciute perché spesso danneggiate dai continui interventi di demolizioni e restauri subiti dagli edifici di culto. Piuttosto frequenti in Inghilterra (BLAGG 1974, p. 133), dove ne sono state trovate di varie forme (ibid, p. 141), erano diffuse in tutta Europa dal Medioevo sino ai tempi più recenti (ibid, p. 133). I confronti più noti sono con una struttura rinvenuta all’interno della Torre Civica di Pavia (WARD PERKINS et alii 1978 , Fig.5) e con due altre fornaci, in tutto simili a quelle di Castelnovo, scavate a Sarzana (SP) (BONORA 1975, pp.126-147). Altre due strutture simili sono state scavate a Castiglion Fiorentino, all’interno di una Pieve romanica11; in ambito provinciale bisogna poi citare la fornace rinvenuta presso l’ingresso della Pieve di S.Polo d’Enza .

Le strutture del Parco della Rocca rivestono poi notevole importanza per il fatto di essere plurime e pertinenti ad almeno due fasi diverse; purtroppo però, non sono stati recuperati materiali che consentano di avanzare ipotesi in termini di cronologia assoluta . La tipologia della fornace più antica rinvenuta a Castelnovo appare più complessa rispetto a quella più recente: quest’ultima è infatti dotata di un unico canale centrale, cui si affiancano due muretti di sostegno allo stampo per la campana. La prima invece, analogamente al pozzo B di Sarzana, presenta anche due canali trasversali, funzionali ad una migliore diffusione del calore all’interno della fornace.

Infine i resti del muro in ciottoli del Settore Sud dovrebbero documentare, a mio parere, gli edifici civili della Castelnovo tardo, o più probabilmente, post-medievale. In particolare la struttura 123 potrebbe essere pertinente ad una torre o ad una cinta difensiva collegata con il palazzo feudale. Sulla base dei dati di scavo e della periodizzazione qui proposta, si può pensare si tratti del rifacimento del XIV secolo, noto da fonti storiche (BERTOLOTTI 1981, p. 17).

Appare possibile poi che la fondazione 123 sia stata riutilizzata in seguito per la “Torre dell’Orologio”, poco documentata dalla cartografia, rimasta in uso sino alla prima metà del nostro secolo (BERTOLOTTI 1981, p.120, Fig.42) (12).

 

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(1) Hanno partecipato allo scavo, Enrica Cerchi, P.Braglia, M.Cattani, G.Iotti, M.Sghedoni; in particolare i disegni sono stati eseguiti da P.Braglìa e G.Iotti.

(2) Devo a Ivan Chiesi, che ringrazio sentitamente, le informazioni sulle fonti storiche per Castelnovo.

(3) MS Biblioteca comunale di Castelnovo Sotto, Fondo D.Longagnani; pubblicazione in editoria elettronica a cura di I.Chiesi, cui si rimanda per analisi più approfondite.

(4) Il confronto con le chiese bolognesi di S.Stefano risulta utile per formulare ipotesi dimensionali, mentre non ha alcun riscontro sia dal punto di vista tipologico che da quello cronologico.

(5) Per il problema della datazione delle tombe su base tipologica si vedano BLAKE 19 83, pp. 175-197 e, per un ambito locale, GELICHI 1987, p.61 e GELICHI 1988, pp. 571-572.

7 È evidente che non sono possibili identificazioni tra questa chiesa e la leggendaria “S.Maria della Palude” (BERTOLOTTI 1981, pp.14-18).

(8) Il rinvenimento delle altre sei colonne nel XVIII secolo conferma tale ipotesi.

9 Rimane da verificare comunque l’identita tra la posizione della Rocca attuale e quella del Palazzo preesistente.

10 Per il funzionamento delle fornaci da campane si veda BLAGG et alii 1974, pp.134-139 con un’esame esaustivo delle principali fonti: il monaco Teophilus e Diderot (Encyclopedie ).

11 Ho desunto la notizia da un pieghevole turistico distribuito in loco e redatto a cura di S. CASCIU, C.CORSI MIRAGLIA, P. GRASSI ZAMARCHI.

12 Per la discussione sul campanile si veda Periodo 2, Fase A. BERGONZONI F. 1987, Le sette colonne, in Sette Colonne & Sette Chiese. La vicenda ultramillenaria del Complesso di S.Stefano, Bologna, pp. 51-57.

 

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Bibliografia

Bib-ST-000 - Testo di Ing. Arch. Michele Cuzzoni

Bib-ST-133 - Monografia di Enrica Cerchi

Bib-ST-134 - Bertolotti A. 1981, Castelnovo di Sotto dalla fine del ‘700 agli inizi del ‘900. Notizie storico Urbanistiche, Reggio Emilia.

Bib-ST-046 - Blagg T. et al., 1974, San Paolo di Valdiponte, «Papers of the British School at Rome», XLII, pp. 98-178.

Bib-ST-135 - Blakeh. 1983, Sepolture, “Archeologia Medievale” X, pp.175-197.

Bib-ST-047 - Bonora F., Castelletti L., 1975, Scavo di una fornace da campana in S. Andrea di Sarzana, «Archeologia Medievale», II, pp. 123-160.

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