Archeologia fusoria
AREA II - ARCHIVIO STORICO (ARS)
Cap. ARS-C01 - Archeometallurgia - Pag. ARS-C01.12
Gli argomenti trattati sono stati inseriti da Ing. Arch. Michele Cuzzoni nel 2011 - © Copyright 2007- 2024 - e sono desunti dalla documentazione indicata in Bibliografia a fondo pagina
Campane e fornaci da campane dal Medioevo all’Età Moderna: archeologia di una produzione
INDICE:
Monografia di Lucia Ferrari
Il progetto parte dalle considerazioni maturate dall’esperienza personale acquisita nello scavo e nello studio di più impianti temporanei per la produzione di campane: complessità nella deposizione degli strati e nella riconoscibilità degli indicatori, difficoltà di interpretazione del ciclo produttivo e importanza di una rilettura critica delle fonti scritte.
Dopo un elevato interesse conseguente ai primi scavi stratigrafici di impianti per campane, negli anni Settanta, non si sono avuti significativi sviluppi tesi a delineare la storia della produzione. Gli scavi dell’ultimo ventennio hanno messo in luce numerosi impianti temporanei, diversamente datati, tra cui alcuni riferibili all’altomedioevo attraverso i quali si vanno acquisendo sempre più dati e opportunità di confronto.
La ricerca va affrontata tenendo conto delle caratteristiche e degli strumenti legati allo studio sia dei siti religiosi, in cui gli impianti si rinvengono, che a quello dei siti produttivi con particolare riferimento alla produzione metallurgica in leghe di rame nel Medioevo.
Il programma di lavoro parte dalla disamina delle fonti fin qui utilizzate per la ricostruzione del ciclo di fusione delle campane e utilizzate nell’interpretazione del dato archeologico. Esse vanno rilette alla luce dei nuovi ritrovamenti ed in relazione ai dati raccolti negli impianti ancora attivi.
Si procederà quindi con il riesame del materiale archeologico edito per la situazione italiana, con confronti con i casi europei. Le evidenze archeologiche andranno sfruttate al meglio, per giungere ad una caratterizzazione degli indicatori sicuri riferibili alla fusione delle campane. Si dovranno tenere presenti le peculiarità stratigrafiche connesse agli impianti e le caratteristiche di una produzione a carattere familiare che si connota come itinerante, saltuaria, specializzata e la cui produttività e apertura geografica sono ancora da definire. Occorre inoltre considerare la particolarità del manufatto in relazione a motivi tecnologici, economici, cultuali e di stile.
Si dovrà costituire un ampio quadro diacronico con la realizzazione di una carta di distribuzione e di un database relativi sia ad attestazioni di impianti produttivi e loro scavo sia alla presenza di campane o notizie delle stesse.
Il contributo delle scienze, analisi archeometriche, archeometallurgiche, paleobotaniche, nello studio degli indicatori sarà fondamentale per dare significato alle scelte tecniche operate dai fonditori.
Si prospetta, inoltre, l’intervento di studio etnoarcheologico in uno o più siti produttivi attivi mirato a definire la complessità della stratificazione in impianti artigianali attuali per ottenere dati confrontabili con i contesti archeologici documentati.
Lo scopo del progetto è quello di pervenire ad una definizione della storia della produzione delle campane che tenga conto delle tradizioni locali, delle innovazioni e delle persistenze e che possa rappresentare, grazie ad un catalogo analitico dei casi studiati, uno strumento di confronto valido per le future acquisizioni archeologiche.
L’interesse che sprona la sottoscritta ad affrontare lo studio della produzione delle campane matura dall’esperienza personale acquisita nello scavo e nello studio di più impianti produttivi di questo tipo rinvenuti nella Pieve di Santo Stefano di Filattiera
[1].L’approccio diretto con la stratigrafia ha portato a riscontrare quanto si tratti solo in apparenza di una produzione semplice e facilmente riconducibile a quanto reso dalle fonti scritte. Si è riscontrata, invece, un’elevata complessità nella deposizione degli strati e nella riconoscibilità degli indicatori. Alle problematiche proprie della produzione vanno aggiunte quelle comportate dalla presenza di tali impianti, generalmente temporanei, in siti ecclesiastici pluristratificati: la presenza di fosse da campane e le loro relazioni o meno con fasi di cantiere può rappresentare, come nel caso di Filattiera, l'indice e lo spunto per riflessioni sulla storia dell’architettura[2] ma anche sugli aspetti economici, sociali, cultuali[3].
Nel campanato si vedono uniti, più che in altri casi di produzione metallurgica, i problemi della tecnica con quelli di una funzionalità particolare e di un fenomeno essenzialmente cultuale che, talvolta, sembra condizionare le scelte degli artigiani
Ad alimentare ulteriormente l’interesse per questo tipo di produzione è dato dal fatto di poter confrontare fra loro dati di diversa natura: storica (le fonti scritte), archeologica (dati di scavo, analisi tipologiche ed archeometriche, cultura materiale), ed etnoarcheologica. La ricerca è aperta non solo nella strategia, che presuppone l’uso di metodi e strumenti afferenti a discipline diverse, ma anche per quanto concerne l’oggetto stesso: l’arte del campanato risulta essere, per quanto finora noto, una produzione ad elevata specializzazione, ma non per questo priva di rapporti con altre attività metallurgiche nella cui tradizione certamente si iscrive. Lo studio del fenomeno produttivo delle campane non può pertanto prescindere dalla disamina delle problematiche legate alla metallurgia delle leghe di rame ed a suoi riflessi nell’archeologia a partire dall’Altomedioevo, un campo di studio in cui ancora molto è da scoprire.
Occorre sottolineare lo stato della documentazione che, dopo un elevato interesse conseguente ai primi scavi stratigrafici di impianti per campane negli anni Settanta, non ha avuto significativi sviluppi tesi a delineare la storia della produzione. Gli scavi dell’ultimo ventennio hanno messo in luce numerosi impianti temporanei, diversamente datati, tra cui alcuni riferibili all’altomedioevo attraverso i quali si vanno acquisendo sempre più dati e opportunità di confronto.
Da queste considerazioni si sottolinea l’esigenza di effettuare una raccolta di tutti i dati pubblicati ed affrontare una disamina dei materiali il più possibile critica e finalizzata alla storia della produzione. Il problema si pone particolarmente nell’ambito dell’archeologia ecclesiastica che spesso si scontra con tale emergenza ma non deve tralasciare, qualora se ne trovi traccia, lo studio di impianti permanenti collocati in botteghe ben definite.
Il primo passo consiste nell’affrontare la storia e la geografia del “campanato” tenendo conto della storia delle ricerche archeologiche e accennando a problemi che andranno poi ripresi in fase conclusiva.
Innanzitutto si dovrà provvedere alla rilettura dei lavori che, in passato, hanno tentato una prima sintesi ed analisi del fenomeno produttivo delle campane.
Obiettivo di questo punto del progetto è ridiscutere le fonti fin qui utilizzate per la ricostruzione del ciclo di fusione delle campane e utilizzate nell’interpretazione del dato archeologico. Già riesaminate negli studi precedenti[7] esse vanno rilette alla luce dei nuovi ritrovamenti ed in relazione ai dati raccolti negli impianti ancora attivi[8]. In particolare ci si soffermerà sulle fonti a seguire di cui si descrivono brevemente i sistemi proposti:
Un primo spoglio del materiale descritto brevemente sopra ed il confronto con studi recenti di impianti scavati archeologicamente ha permesso di stabilire come la produzione delle campane sia riferibile già a partire dall’epoca Carolingia al procedimento descritto da Teofilo alcuni secoli più tardi [13]. Lo stesso dicasi per il modo di fare le campane codificato da Biringuccio alla metà del 1500 che risulta messo in opera secoli prima e quindi già ampiamente sperimentato all’epoca dello scrivente[14]. Risulta altresì documentato archeologicamente il sistema registrato dall’Encyclopedie con un anticipo di un secolo e mezzo[15].
Questo dimostra come i trattati si siano limitati, in effetti, a codificare pratiche produttive già note da secoli ed induce a pensare all’esistenza di testi altomedievali poi scomparsi[16]. Non mancano, tuttavia, casi emblematici di conservazione o recupero di tradizioni produttive più antiche[17] che vanno esaminati in stretta relazione al contesto in cui sono inseriti.
Un’attenta fase di analisi del fenomeno deve essere svolta con gli strumenti propri dell’archeologia e finalizzata a restituire le evidenze materiali ad un contesto storico specifico. Si dovrà tentare di definire le peculiarità della produzione in relazione ai fattori contingenti di ogni singolo caso di studio prima di pervenire alla fase di sintesi dei risultati.
La strategia della ricerca si dovrà basare sui seguenti punti:
L’approccio archeologico dovrà tenere presenti:
La ricerca va affrontata tenendo conto delle caratteristiche e degli strumenti legati allo studio sia dei siti religiosi che a quello dei siti produttivi: le problematiche si compenetrano ed i risultati si integrano in maniera esemplare nello studio di questa particolare produzione metallurgica.
In quest’ottica deve essere presa in considerazione la diffusione delle campane quali manufatti, mettendole in relazione sia a fattori cultuali che a fattori produttivi.
Sembra opportuno, inoltre, far luce sull’intero quadro europeo nel tentativo di costituire un ampio quadro diacronico con la realizzazione di una carta di distribuzione relativa sia ad attestazioni impianti produttivi e loro scavo sia alla presenza di campane o notizie delle stesse.
Il contributo delle scienze sarà fondamentale per dare significato alle scelte tecniche operate dai fonditori.
Ad una prima fase di studio macroscopico degli indicatori e dei manufatti, con considerazioni di tipo sia qualitativo che quantitativo,dovrà seguire una fase di analisi in laboratorio, laddove possibile, tenendo conto dell’invasività e distruttività di queste.
Si dovranno tenere presenti in particolare:
Si prospetta l’intervento di studio etnoarcheologico in uno o più siti produttivi attivi[18] mirato a definire la complessità della stratificazione in impianti artigianali attuali per ottenere dati di confronto con i contesti archeologici documentati. Si tratta dunque di cogliere il nesso fra azione tecnica e conseguente evidenza materiale.
In particolare si cercheranno di definire:
Lo studio della produzione delle campane, in quanto inserita nel più ampio sistema della metallurgia delle leghe di rame, dovrà affrontare i seguenti punti:
In particolare, oltre alla disamina della bibliografia specifica, si dovrà far riferimento ai risultati delle analisi archeometriche sui materiali.
Alla conclusione delle fasi di raccolta, catalogazione ed analisi delle fonti disponibili si dovrà pervenire ad una fase di sintesi dei risultati ottenuti. In particolare si mira ad ottenere:
Segue un elenco di domande su cui la ricerca si propone di fornire risposte.
[1] GIANNICHEDDA E., FERRARI L., Le fosse da campane nella pieve di Santo Stefano a Filattiera, “Scavi Medievali in Italia 1996-1999” a cura di S. Patitucci Uggeri, Roma, 2001, pp. 401-410.
[2] Ibidem. In particolare la presenza di una fossa per campane datata al radiocarbonio tra il IX e la prima metà del X secolo nella pieve di Santo Stefano di Filattiera costituisce la prova indiretta della presenza di una chiesa altomedievale e di un campanile di cui restano esigue tracce stratigrafiche.
[3] Ibidem. Ci si riferisce, ad esempio, al riutilizzo di oggetti bronzei, come una campanella, o di metalli preziosi portati in dono dalla popolazione locale e all’inevitabile partecipazione di famiglie abbienti nel finanziamento dell’opera.
[4] Donati P.A., Il campanato, in “Quaderni di informazione “,8 (1981), Bellinzona.
[5] BLAGG T.F.C., Bell-founding in Italy: archeology and history, Paper in Italian Archeology, I part II, BAR Supplies Series, 41 (II), 1978, pp. 423-434.
[6]Ad esempio in Donati P.A., Il campanato…cit. viene fatto un censimento delle campane e dei fonditori del Canton Ticino facendo ampio riferimento ai dati rilevati alla fine del XIX secolo da Nuescheler-Usteri sulle iscrizioni delle campane dell’area.
[7]Cfr. Donati P.A., Il campanato…cit.
[8] Cfr. capp. 3 e 4.
[9] TEOFILO MONACO, Diversarum artium schedula (ed. di C.R. Dodwell, The various arts / De diversis artibus, Oxford, 1961)
[10] BIRINGUCCIO V., De la pirotechnia (ed. di A. Cargo, Milano, 1977)
[11] DIDEROT D., Enciclopedie. Recuil de planche sur le sciences, les arts libéraux et les arts mécaniques, avec leurs explication. Cinquième volume, troisième édition, a Livourne. MDCCLXXIV
[12]Donati P.A., Il campanato…cit.
[13] Cfr. GIANNICHEDDA E., FERRARI L., Le fosse da campane… cit., la fossa per campane A datata al tra il IX e la prima metà del X secolo (cfr. nota 2) indica come il sistema descritto da Teofilo, a cui essa corrisponde, faccia riferimento a modalità produttive già attive almeno dal IX secolo.
[14] Ibidem.Le fosse C (datata al primo quarto dell’XI secolo) e D (successiva) della pieve sono risultate essere state utilizzate per la produzione di campane utilizzando il sistema descritto da Biringuccio ben cinque secoli dopo. Si veda anche Donati P.A., Il campanato…cit., il caso della prima fossa di Quinto (SS. Pietro e Paolo) datata al XIV secolo.
[15]Si ricorda a proposito la fornace rinvenuta nella Chiesa di San Rocco a Lugano (cfr.Donati P.A., Il campanato…cit.)
[16]Ibidem. Si veda anche Donati P.A., Il campanato…cit., il caso della prima fossa di Quinto (SS. Pietro e Paolo)
[17] Cfr. Donati P.A., Il campanato…cit., il caso della fornace di XIV-XX secolo di Stabio (San Pietro) realizzata secondo il sistema di Teofilo.
[18] E’ stata individuata, per esempio l’officina di un fonditore da campane ad Avegno, nel genovesato.
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Bib-ST-000 - Testo di Ing. Arch. Michele Cuzzoni
Bib-ST-067 - Monografia di Lucia Ferrari
Bib-ST-080 - Biringuccio V., 1559, Pirotechnia, Venezia.
Bib-ST-069 - Blagg T.F.C., Bell-founding in Italy: archeology and history, Paper in Italian Archeology, I part II, BAR Supplies Series, 41 (II), 1978, pp. 423-434.Bib-ST-047 - Bonora F., Castelletti L., 1975, Scavo di una fornace da campana in S. Andrea di Sarzana, «Archeologia Medievale», II, pp. 123-160.
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