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 Archeologia fusoria

AREA II - ARCHIVIO STORICO (ARS)

Cap. ARS-C01 - Archeometallurgia - Pag. ARS-C01.10

Gli argomenti trattati sono stati inseriti da Ing. Arch. Michele Cuzzoni nel 2012 - © Copyright 2007- 2024 - e sono desunti dalla documentazione indicata in Bibliografia a fondo pagina


 

Archeofonderia della Torre Civica di Pavia

 

INDICE:

 

 Scavi nella Torre Civica di Pavia

di B. Ward-Perkins, H. Blake e Altri.

 

La Torre civica del Duomo di Pavia: Gli Scavi e la Fonderia di Campane

 

 

Parte I - La Torre e Lo Scavo

   

Fig. 01 - La Torre nel 1890 con la vecchia cattedrale ottenuta dalla fusione di due chiese medievali

 

La Torre Civica sorgeva presso l'angolo nord-ovest della cattedrale di Pavia, e fu edificata per servire come campanile della duplice cattedrale medievale di S. Stefano e S. Maria del Popolo.

    Queste due chiese furono ricostruite, o almeno largamente rimaneggiate, intorno al 1100 e quasi completamente demolite fra il 1488 ed il 1935 per realizzare l'attuale cattedrale al loro posto (PANAZZA 1964; KRAUTHEIMER 1971 )-

    La base della torre era caratterizzata all'esterno dall'uso di lesene, archetti pensili, decorazioni in ceramica («bacini») ed elementi marmorei di riutilizzo (AGUZZI 1975). Questa parte inferiore poteva essere attendibilmente datata con confronti stilistici intorno al 1050, soprattutto per la netta rassomiglianza con il campanile di Pomposa, datato al 1063 (PANAZZA 1956, p.21; SALMI 1936, pp.56-63 e tavv. I e V-VI). Perciò è quasi sicuramente anteriore al rifacimento romanico della cattedrale.

 

Fig. 02 - Piante e Sezione verticale della torre (nel 1972)

Però alla metà del secondo ordine nella decorazione esterna della torre c'era un notevole cambiamento nella qualità della tessitura laterizia, maggiormente rilevabile nelle facciate settentrionale e orientale. Sopra questo livello scompariva completamente l'inserimento di bacini e marmi decorati e dal terzo ordine mancavano anche le lesene. Può darsi che la parte superiore della torre risalisse ad un'epoca posteriore, forse al secolo XII, quando simili decorazioni non furono più usate nei campanili lombardi (ARSLAN 1954, p. 511 nota 2; PANAZZA 1956, pp.21-23).

In tal caso la torre sarebbe dunque rimasta per un certo tempo un troncone incompiuto con soltanto un ordine e mezzo costruito. Alla ripresa dei lavori sarebbero state completate le lesene del secondo ordine, mentre successivamente fu usato uno stile più austero. Anche questa fase edilizia non completò la costruzione; la torre era infatti coronata da una cella campanaria provvisoria, rilevabile nel disegno di Opicino de Canistris nella prima metà del '300 (GIANINI 1927, p. 60; SALOMON 1936, pp. 152- 154 e tav. II; PANAZZA 1964, p. 5 fig. 1).

Finalmente furono aggiunte una volta, circa nel 1550, e la cella campanaria, su progetto del Pellegrini, fra il 1583 e il 1598 (MILANI e TOSCANI 1975, pp. 473-480).

   

    All'interno la torre aveva due insolite caratteristiche, risalenti entrambe alla fase originaria: un'abside nel muro orientale con le tracce di un'antica finestra murata e una scala che sale alla cella campanaria, costruita nello spessore dei muri. La presenza dell'abside indica che la torre fu iniziata con l'intenzione di adoperare l'ampia area interna alla base (6,60 m. per lato) come cappella, ed anche le scale furono realizzate nello spessore dei muri per lasciare libera tutta l'area interna. Questa presunta cappella all'interno di una torre era ritenuta priva di confronti, ma esiste un documento del 1018 che si riferisce ad una torre privata pavese con una cappella all'interno della base: «et turre una cum capella una infra ipsa turre edificata in onore sancti Nicolagi» (BULLOUGH 1966, p. 116 nota 142; MANARESI 1958, p. 601).

    Nel '300, quando Opicino de Canistris la disegnò e la descrisse, la Torre Civica era proprietà del Comune e aveva funzione difensiva, e le sue campane scandivano gli avvenimenti quotidiani della città (OPICINO DE CANISTRIS, p. 19, p. 27, . 33).

    Almeno dal secolo XV e poi per lungo tempo la base della torre servì come ufficio comunale per la bollatura dei pesi e delle misure. Esiste un'ampia documentazione anche sui lavori di manutenzione e riparazione delle campane, sulle incombenze del campanaro e sull'orologio, quest'ultimo ricordato già nel 1404 (MILANI e TOSCANI 1975).

    Lo scavo all'interno della torre fu iniziato nel 1972 con un sondaggio nel quadrante NE effettuato sotto la direzione di Hugo Blake. Questo ha messo in luce una stratigrafia particolarmente chiara e, nello strato più profondo raggiunto, una serie di depositi di notevole interesse con i resti di attività artigianali (BLAKE 1974).

    Nel 1973 si è esteso lo scavo, raggiungendo in tutta l'area interna lo stesso livello (WARD PERKINS 1975).

Per poter documentare le sezioni attraverso lo scavo senza ingombrare un'area ristretta, si è usato un sistema di testimoni temporanei. I testimoni, di una larghezza minima, si intersecavano ortogonalmente al centro dello scavo, lasciando uno spazio sufficientemente ampio in ognuno dei tre quadranti; essendo molto fragili, i testimoni venivano progressivamente demoliti in corrispondenza del procedere nell'esame e nel disegno delle sezioni.

    Lo scavo aveva ovviamente il grande vantaggio di essere delimitato da massicci muri cronologicamente anteriori agli strati in esame; si trattava cioè di esaminare una totalità, senza il rischio di trascurare possibili informazioni nel terreno limitrofo.

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    Lo scavo del 1972 nel quadrante NE aveva evidenziato sei fasi principali (BLAKE 1974, pp. 152-158 figg. 7 e 9); anche nell'ampliamento del 1973 questa stratigrafia è stata confermata, però si è rilevato che i periodi più tardi di frequentazione furono più numerosi di quanto sembrava.

    Si illustrano fase per fase gli sviluppi fondamentali dell'interno della torre. Si noti che la numerazione è rovesciata ed aumentata e vengono usati numerali romani, cosicché la fase I è la più recente e la fase XI è la più antica.

 

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    Nel 1974 è stato effettuato un piccolo sondaggio (cm. 275 X 70) perpendicolarmente al muro settentrionale della torre. L'intenzione era di esaminare la stratigrafia sottostante alla più antica fase completamente scavata (la X), in parte per confermare che questa corrispondesse veramente al primo periodo di attività dopo la fondazione della torre.

    Apparvero le rozze fondamenta, realizzate con grandi blocchi di pietra: questi blocchi nel punto esaminato sembravano giacere su un letto di piccoli ciottoli e malta; addossato alle fondamenta c'era, sottostante ad un altro più sottile di macerie, uno spesso strato di terreno sabbioso anche esso con qualche maceria, rilevabile anche sulle pareti della buca antistante la fornace per campane. Più sotto, sul fondo del sondaggio, si scoprì uno strato di terreno argilloso, che è tagliato da quella che sembra essere la trincea di fondazione del muro della torre, però questo non può essere affermato con certezza.

    Il terreno addossato alle fondamenta deve essere stato depositato all'interno della torre poco dopo la sua fondazione, per alzare il livello del suolo fino al punto dove la superficie laterizia cominciava ad essere regolare; la parte superiore delle fondamenta sembrava, almeno per quanto riguarda l'interno, costruita fuori terra e non come ci si aspetterebbe in una trincea.

    Il sondaggio ha riportato alla luce solo pochissima ceramica, che sembra quasi completamente romana rimaneggiata. Per la datazione di questa fase rimangono quindi per ora valide le considerazioni architettoniche sulla base della torre.

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    Questa risulta dunque la prima fase di occupazione dell'interno della torre dopo la fondazione (cfr.BLAKE 1974, fase 1). Si sperava di trovare a questo livello tracce archeologiche di una cappella collegata all'abside del muro orientale, ma non è apparso niente di simile ed è chiaro che a quest’epoca l'interno della torre non aveva nessun tipo di pavimentazione. Sembra poco probabile che l'abside sia stata costruita senza l'intenzione di un suo uso liturgico, ed è quindi ipotizzabile che fu progettata una cappella senza che questa venisse poi realizzata, probabilmente perché i lavori alla struttura della torre vennero sospesi per un certo periodo dopo la realizzazione della parte inferiore. Quando la torre fu completata, forse dopo diversi anni, il progetto originario di una cappella interna non venne più attuato.

    Si sono invece rinvenuti sottili strati sabbiosi pieni di scorie di metallo e di carboni: tali strati erano più spessi vicino all'angolo NO, dove erano presenti anche battuti di argilla, buchi per pali e una vasca di mattoni interrata. Sopra questo livello nell'area subito ad ovest dell'abside c'erano uno strato pieno di frammenti colorati di vetro di finestra ed un altro con migliaia di tessere di mosaico. La presenza del vetro e delle tessere suggerisce che tutta la fase era connessa ad un uso della torre come officina durante il rifacimento, intorno al 1100, della duplice cattedrale adiacente. Questa ipotesi è stata confermata dall'esame dei resti della lavorazione di metalli: si trattava quasi certamente della produzione di arnesi in ferro, di bronzi decorativi e di piombo forse per finestre e tetti. La datazione al periodo del rifacimento della cattedrale è stabilita dal rinvenimento di due monete del tardo XI secolo.

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    La fase successiva consisteva in uno strato spesso ed omogeneo di terreno grigiastro pieno di frammenti di mattoni e malta (pag. 6 e 7; cfr. BLAKE 1974, fase 2). Queste macerie erano quasi tutte di minime dimensioni: schegge di mattoni e piccoli agglomerati di calce, che sembrano non  corrispondere a macerie di demolizioni. È possibile che si tratti di un accumulo collegato ai lavori di completamento della torre. Purtroppo questo strato conteneva pochissima ceramica, e nessun frammento ben databile.

    La superficie di queste macerie si presentava come un buon battuto, con estese tracce di fuoco. Da questo livello fu scavato un pozzetto per la gettata di campane. Purtroppo le fasi che coprivano questa struttura erano anch'esse prive di materiale ben databile e soltanto per la fase VI, intorno al 1500, i reperti ceramici erano utilizzabili per la datazione. Il pozzetto poteva forse essere per la gettata delle prime campane della torre, probabilmente nel secolo XII, e questo trova sostegno nella possibile interpretazione dello strato da  esso tagliato come deposito creatosi con il completamento della torre. I soli dati sicuri sono però che il pozzetto è posteriore al 1100 circa (fase X) ed anteriore al XVI secolo (fase VI); essendo anteriore alle fasi VIII e VII è probabilmente più vicino al 1100 che al 1500.

    Il recente scavo del corridoio d'ingresso della torre (1975), effettuato dal Gruppo Archeologico Pavese sotto la direzione di G. Inzaghi, ha riportato alla luce il pavimento originale, limitato a questa zona, in grandi lastre di granito. Il livello di questo pavimento corrisponde a quello del fondo dell'abside, dove furono pure impiegate grandi lastre di granito.

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    Lo strato appena descritto ed il pozzetto erano ricoperti da uno strato spesso di macerie, quasi esclusivamente laterizie (figg. 6 e 7; cfr. BLAKE 1974, fase 3). Il terreno si presentava in parte grigiastro e in parte rossastro, con una superficie ben battuta; purtroppo conteneva pochissima ceramica e niente di databile.

 

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    Al di sopra si stendeva un ulteriore strato spesso di macerie, con sul fondo divérse lenti distinguibili da differenze di colore (figg. 6 e 7; cfr. BLAKE 1974, fase 4). Il colore dominante era rosso, e conteneva per lo più frammenti laterizi. Ceramica e monete rinvenute nel 1972 nella zona dell'abside avevano suggerito una datazione per questa fase al tardo '500 (BLAKE 1974, pp. 154-156), ma lo scavo più esteso del 1973 ha potuto evidenziare che quella zona era in parte disturbata da una buca per rifiuti posteriore, ed il materiale del 1972 sicuramente apparteneva a questa (alcuni frammenti di ceramica del 1972 e della buca 4 si integravano). Nel resto dell'area in questo strato si è trovata pochissima ceramica e nel complesso la datazione rimane incerta.

    Come le macerie della fase VIII questo strato fu forse accumulato durante lavori alla torre. Le fasi IX, VIII e VII presentavano delle superfici ben battute, ma non c'erano tracce di strutture interne (buchi per pali ecc.) né buche per rifiuti. Purtroppo i dipendenti comunali che stazionavano all'interno della torre almeno dal secolo XIV (OPICINO DE CANISTRIS, p. 27; MILANI e TOSCANI 1975) non hanno lasciato tracce.

 

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    All'inizio di questa fase fu scavata una grande trincea nelle macerie della fase VII, togliendole quasi completamente nella zona Sud. Perpendicolarmente a questa trincea, in direzione Nord-Sud, c'era un piccolo muretto a secco costituito da tre corsi di frammenti di mattoni. Subito ad Ovest del muretto era scavata una buca circolare, con un profilo leggermente a fiasco. Il taglio della grande trincea era proprio al bordo del quadrante scavato nel 1972 e non era stato individuato con certezza, però è sicuro che attraversasse tutta l'area. La buca e tutta la trincea erano riempite con un terreno grigiastro contenente molte macerie; in questo terreno si è recuperata una notevole quantità di ceramica e piccoli oggetti databili circa al 1500.

 

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    Nel tardo '500 furono scavate due buche per rifiuti. Una era di discrete dimensioni, scavata contro il muro Nord della torre, e conteneva molte macerie con poca ceramica L'altra aveva la forma di una fossa poco profonda, scavata lungo tutto il muro Sud e lungo il muro Est fino all'abside. Il riempimento era di terreno scuro e sciolto contenente una grande e ricca quantità di reperti; questi sono pubblicati come gruppo oltre che nelle tipologie.

    Dopo il riempimento delle buche furono depositati sottili strati di malta in gran parte dell'area; al centro del muro Sud fu addossata una base, costruita con mattoni romani reimpiegati, di uso incerto, mentre nell'abside fu fatta una pavimentazione parziale di mattoni e lastre di pietra, forse per un focolare.

    Le buche per rifiuti sono ben databili dalla ceramica al tardo '500 e contenevano anche una moneta di questo periodo. Dal 1550 circa al 1598 furono intrapresi lavori sulla cima della torre per la realizzazione delle volte e della cella campanaria: gli strati di malta sono da collegare a tali lavori e le buche furono senz'altro scavate in questo periodo.

 

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    Intorno al 1600, probabilmente subito dopo il completamento della cella campanaria, fu risistemato l'interno della torre, e questi lavori furono sicuramente eseguiti in relazione alla sua funzione di ufficio comunale per la bollatura dei pesi e delle misure (MILANI e TOSCANI 1975).

    Nell'abside e nella zona circostante venne realizzato un pavimento in laterizio; nell'abside stessa questo fu costruito con mattoni irregolari ed era più alto del resto della pavimentazione e delimitato da una fila di mattoni disposti verticalmente, inoltre un intervento lo aveva distrutto nella parte a Nord (6g. 7; BLAKE 1974, p. 157 fig. 9, fase 6). Ad ovest dell'abside c'era una zona limitata di mattoni regolari con un bordo di grandi pietre di granito, distrutto a Nord dalle fondamenta del muro della fase II (fig. 5). Il pavimento si estendeva a Nord e a Sud con una distesa di mattoni frammentari ed irregolari, forse aggiunti in un'epoca successiva; si trovava in brutte condizioni ed inoltre a Sud era tagliato dalla buca.

    Sempre in questo periodo fu costruito un nuovo accesso alla scala che sale alla cella campanaria nello spessore dei muri: l'accesso si trovava sulla sinistra del corridoio d'ingresso della torre, ma stava diventando impraticabile a causa del progressivo innalzamento del livello del terreno. Fu tagliata al centro del muro Ovest una porta, ad un'altezza di circa cm. 130, che raggiungeva le scale originarie, e fu costruita una nuova rampa di scale.

    In tutta l'area della torre, esclusa la zona con il pavimento in laterizio, fu depositato un sottile strato di terreno scuro, sabbioso, contenente molte ceneri e carboni. Da questo strato viene una quantità notevole di ceramica, piccoli oggetti e monete: fra queste le undici identificabili sono tutte degli inizi del '600 tranne due del secolo precedente.

 

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    Ad una data difficile da precisare la pavimentazione e il livello di frequentazione della fase IV furono ricoperti con uno spesso strato di terreno sciolto, rossastro, contenente molte macerie.

    In gran parte il materiale è poco diverso da quello della fase precedente, e nessuna delle tre monete rinvenute è posteriore alla metà del '600.  Sembra che la pavimentazione costruita nella fase IV sia stata adoperata per un periodo abbastanza breve, ed è possibile che le macerie siano in relazione con lavori sulla cima della torre documentati fra il 1670 e il 1672 (MILANI e TOSCANI 1975, pp. 484-485).

 

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    La comprensione di questa fase è complicata dal fatto che la sistemazione moderna dell'interno della torre (fase I) ha tolto qualsiasi traccia di eventuali pavimenti o livelli di occupazione sovrastanti le macerie della fase III. Di conseguenza sono state rinvenute soltanto fondamenta di muri e due grandi buche, mentre non c'erano resti di un pavimento in cotto documentato in una dettagliata descrizione della torre nel 1719 (MILANI e TOSCANI, 1975,pp. 490-493)-

    Nella parte Nord della torre furono costruiti due muri, uno attraversante l'area in direzione Est-Ovest e l'altro coevo, tra il primo ed il muro Nord della torre. Nella maggior parte dell'area, di questi muri sono sopravissute solo le fondamenta, costruite con frammenti di mattoni e pietre legati da abbondante malta; nelle stesse fondamenta erano utilizzati alcuni frammenti di due grandi stemmi marmorei della città di Pavia. Le demolizioni moderne avevano risparmiato una piccola porzione del muro Est-Ovest in corrispondenza del tratto parallelo al lato corto della rampa di scale della fase IV, e a Nord di questa, in modo da ricavare un ampliamento del pianerottolo.

    Questi muri, sicuramente posteriori alla descrizione del 1719, sono di difficile datazione; gli stemmi vennero forse spezzati durante il periodo cisalpino.

    Nell'angolo Nord-Ovest contro le pareti della torre fu scavata una grande buca, riempita di terreno sciolto grigiastro con una grande quantità di rifiuti, soprattutto oggetti di ferro e vetro da finestra, ma con anche un teschio umano. Il materiale di questa buca, databile circa al 1700, è pubblicato come gruppo oltre che nelle tipologie.

    Anche nell'angolo Sud-Est fu scavata una profonda buca contro le pareti, riempita di terreno scuro fuligginoso, e con molte scorie, forse i rifiuti di un'attività artigianale temporanea nella torre.

 

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    L'interno della torre fu risistemato in epoca moderna: furono demoliti i muri della fase II e venne realizzato un pavimento in cemento su un letto di mattoni moderni.

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    L'attività principale dentro la torre durante il suo utilizzo come cantiere fu la lavorazione dei metalli; questa era concentrata nell'angolo Nord-Ovest, dove è stata rinvenuta una serie di battuti sovrapposti in argilla con estese tracce di combustione. Gli strati nel resto della torre consistevano in terreno sabbioso, ricco di carboni e scorie di metalli.

    Nell'angolo Nord-Ovest erano concentrate anche le principali strutture di questa fase: una vasca scavata nel terreno rivestita di mattoni e una serie di buchi per pali. La vasca è costruita con frammenti di mattoni legati con malta bianca e rivestiti all'interno con argilla leggermente cotta. L'orlo della vasca era coperto di terreno contenente scorie metalliche, mentre queste mancavano completamente all'interno, dove il riempimento consisteva di uno strato argilloso e di uno di sabbia pura. La struttura è quindi anteriore al deposito delle scorie e risulta in uso durante la lavorazione dei metalli.

    Due piccoli buchi per pali a Nord, che fanno parte di un gruppo di quattro disposti secondo i vertici di un quadrato, ed uno più grande ad Ovest sono realizzati nella struttura dell'orlo della vasca ed erano contemporanei a questa. La cronologia di altri tre buchi per pali in questa zona è meno sicura. In quest'area sono stati rinvenuti quasi tutti i frammenti di crogiuolo che provengono da questa fase, ed anche molti frammenti di argilla vetrificata, in gran parte perforati al centro.

    I piccoli crogiuoli e le scorie di bronzo e piombo rinvenute in tutto l'interno della torre testimoniano la lavorazione anche di questi due metalli; però la stragrande maggioranza delle scorie era connessa alla forgiatura del ferro, circa 30 kg. in confronto a 2,8 kg. di scorie di bronzo, e certamente l'attività principale fu una lavorazione secondaria del ferro.

    Un'ipotesi possibile è che vi fosse una piccola forgia, forse di metallo, collocata sui quattro pali a Nord della vasca, e che il palo più grande ad Ovest reggesse un'incudine. I frammenti di argilla vetrificata forse rivestivano i buchi per le entrate dei mantici nella forgia. La vasca quasi sicuramente conteneva acqua per la tempra del ferro: è probabile che l'attività principale consistesse nella produzione e rigenerazione di arnesi da taglio, che richiedono la tempra, per gli operai della cattedrale. La costruzione di una vasca così solida da contenere acqua per la tempra si può spiegare col fatto che il rifacimento della cattedrale durò a lungo e quindi giustificava la realizzazione di un cantiere con un'attrezzatura durevole. Gli arnesi da taglio avevano un valore metallico notevole e quindi non è sorprendente il fatto di non averne trovati nello scavo: gli unici oggetti di ferro rinvenuti sono arnesi piccoli, soprattutto chiodi, alcuni dei quali forse furono usati dagli operai dentro la torre, ma in gran parte senz'altro vennero prodotti per i lavori della cattedrale.

    La lavorazione del piombo è testimoniata solo da colature informi (peso totale 3,85 kg.). L'uso del piombo era probabilmente connesso alla realizzazione dei supporti per le vetrate, anche se non ne sono stati rinvenuti, e forse anche alla copertura della cattedrale, ricordando che nel sec. XIV Opicino de Canistris descrisse la copertura plumbea di S. Stefano (OPICINO DE CANISTRIS, p.19).

    Della lavorazione del bronzo oltre alle scorie sono stati rinvenuti manufatti: due di questi, un frammento di orlo di recipiente e parte di uno specchio romano spezzato in più frammenti, furono probabilmente raccolti per rifusione, mentre la maggior parte degli altri furono sicuramente prodotti sul posto. Questi ultimi sono principalmente frammenti di sottili lamine di bronzo presumibilmente utilizzate per rivestire il legno; uno di questi presenta tracce di doratura. Sono state rinvenute anche due parti di catenelle bronzee e cinque frammenti di placche decorative a traforo prodotte con una matrice, anche queste probabilmente per rivestire il legno. Anche se confronti molto simili non ci sono pervenuti, per qualche caratteristica somigliano ad alcuni pannelli di bronzo delle porte di S. Zeno a Verona databili al 1100 circa (FASANARI 1961, figg. 21 e 24). I pannelli di S. Zeno hanno anche figure a rilievo, ma alcuni hanno un sottofondo di decorazione a traforo che ricorda le placche di Pavia.

    Una struttura del cantiere è rimasta di interpretazione problematica: una canaletta poco profonda nell'angolo Sud-Ovest della torre vicino all'ingresso, rivestita di argilla cruda e leggermente declinante verso Est. Molto irregolare, aveva una sezione approssimativamente semicircolare ed era riempita di terreno sabbioso con carboni e scorie metalliche.

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    L'uso medievale di fabbricare le campane nei pressi o all'interno delle strutture alle quali erano destinate è ora ben conosciuto, ed è anzi un po' strano l'aver rinvenuto un solo pozzo di gettata all'interno della Torre Civica, per la quale dal '300 in poi esiste un'ampia documentazione riguardante ripetute fabbricazioni di nuove campane (MILANI e TOSCANI 1975, pp. 470-472).

Pozzetti del genere sono stati trovati, dentro o vicino a chiese, in tutta l'Europa9, ed esempi notevoli italiani sono stati scoperti: quello della chiesa di S. Andrea di Sarzana, probabilmente del secolo XII (BONORA E CASTELLETTI 1975), e quello dell’abbazia di S. Paolo di Valdiponte del secolo XV (BLAGG 1974).

    Il testo indispensabile per capire il procedimento medievale di fabbricazione delle campane è il De Diversis Artibus scritto da Teofilo nel secolo XII; purtroppo questo testo è di difficile reperimento in Italia, si è ritenuto utile dare quindi un sommario dettagliato del libro III cap. LXXXV De campanis fundendis.

1) Viene costruito un tornio con asse orizzontale munito di manovella. L’asse dovrebbe essere di quercia e di forma piramidale a base quadrata.

2) Sull’asse è modellata in argilla la parte interna dello stampo, rendendola accuratamente rotonda e liscia con la rotazione e l’uso di opportuni strumenti di fero e di uno straccio bagnato. Sopra questa viene costruita l’anima con strisce di cera dello spessore desiderato per la campana quando la cera è completamente solida viene lisciata con arnesi affilati, e sono incisi le eventuali decorazioni o iscrizioni. Vengono poi fatti quattro fori triangolari presso il punto dove verrà applicato il collum per migliorare il suono. L’anima è coperta quindi con argilla ben decantata; questa viene fatta asciugare e poi si aggiunge altra argilla per realizzare la forma esterna.

3) Lo stampo viene tolto dal tornio e liberato dall’asse; il foro lasciato da questo sulla cima è accuratamente riempito con cera e argilla e nello spessore della cera viene inserito un gancio di ferro per l’attacco del battente. Viene quindi modellato in cera il sistema per la sospensione della campana, costituito da un collum circolare centrale e da un gruppo di aures irradianti da questo, con alla sommità anche le anime di due canali per l’introduzione del bronzo e l’uscita dell’aria; tutto questo insieme viene poi ricoperto di argilla. Lo stampo viene rinforzato applicando all'esterno una serie di anelli di ferro ravvicinati, ricoperti a loro volta di argilla. L'interno dello stampo viene infine assottigliato per renderlo meno pesante e per favorirne la cottura.

4) Viene scavata una buca di profondità adeguata sul fondo della quale si realizza un sostegno di pietre e argilla, alto un piede, e con un corridoio (spatium quasi via) centrale di tiraggio, largo un piede e mezzo. Vengono fissati quattro lunghi pali intorno al sostegno sul fondo e la buca è riempita di terra; lo stampo è quindi collocato tra i quattro pali e viene poi tolta la terra finché lo stampo non è sceso sul sostegno.

5) I muri per la fornace di gettata, che inizialmente devono raggiungere solo la metà dell'altezza dello stampo, vengono costruiti con pietre e argilla a una distanza di mezzo piede dallo stampo stesso, con due aperture in corrispondenza del corridoio centrale. Viene perforato il bordo inferiore dello stampo in due punti opposti per raccogliere poi la cera; viene quindi acceso il fuoco nel corridoio e quando con il riscaldamento dello stampo la cera comincia ad uscire si completa la costruzione dei muri, fino a chiudere l'imboccatura superiore con un coperchio di argilla o di ferro. Recuperata la cera e rinchiusi i buchi, lo stampo viene cotto per un giorno e una notte. Frattanto vengono preparati, a seconda delle dimensioni della campana, uno o più crogiuoli in ferro muniti di maniglie, rivestiti dentro e fuori di argilla con fori predisposti per i mantici. Quando lo stampo è ben cotto, viene fuso il bronzo nei crogiuoli con quattro parti di rame e una di stagno.

6) Nel frattempo con lunghe pinze vengono tolte le pietre della fornace con lo stampo e il pozzetto viene riempito con terra ben pressata per bilanciare la pressione del bronzo. Viene demolita la fornace intorno al crogiuolo e questo viene trasportato con pali passanti per i manici, fino allo stampo nel quale viene travasato il bronzo. Teofilo descrive anche un sistema diverso, con un condotto in legno rivestito d'argilla collegante il fondo del crogiuolo direttamente con l'imbocco dello stampo Appena il metallo nell'imbocco sembra solido si toglie la terra intorno allo stampo e si lascia raffreddare un po'; lo stampo viene quindi alzato sollevandolo prima da un lato e poi dall'altro e immettendo terra al di sotto. Una volta estratto dal pozzetto lo stampo, viene levata subito la parte interna, mentre quella esterna con gli anelli di ferro è tolta dopo il completo raffreddamento; viene quindi rifinito il bronzo, prima con scalpelli per le irregolarità più notevoli e poi montando la campana su un tornio e lisciandola con pietra arenaria (cum sabuleo lapide). Teofilo poi spiega dettagliatamente come sistemare la sospensione di una campana (cfr. THEOBALD 1933, 428 figg. 130 e 131).

    In linea generale il ritrovamento di Pavia corrisponde bene alla descrizione di Teofilo, anche se molti dettagli ovviamente non sono rilevabili dalle tracce archeologiche; ci sono però anche alcune differenze notevoli di tecnica.

    È difficile sapere esattamente come fu costruito lo stampo per la campana, ma è possibile che in questo caso fossero adoperate sagome ruotanti per modellarlo. Questo spiegherebbe in parte l'estremità liscia a gradino dei frammenti dello stampo interno rinvenuti, che è poco probabile sia stata realizzata a mano. E anche possibile che ciò indichi che l'anima per la campana fu fatta in argilla e non in cera: con questa tecnica, descritta come normale in epoca postmedievale dal Biringuccio e da Diderot (BLAGG 1974, 136), lo stampo esterno veniva modellato intorno ad un'anima di argilla, l'insieme veniva leggermente cotto, quindi si alzava l'esterno, si eliminava l'anima e si ricomponeva lo stampo. Per questo uno stacco netto alla base tra la parte interna e quella esterna dello stampo era essenziale, mentre col procedimento a cera perduta uno stacco simile indebolirebbe un punto già delicato.

    Il pozzetto per la gettata è chiaramente diverso dalla descrizione di Teofilo, che descrive una fornace a ventilazione orizzontale con muri indipendenti dalle pareti del pozzetto che venivano demoliti al momento della gettata. La fornace a Pavia è a tiraggio verticale con un'apertura solo sul fondo nel muro, costruito contro le pareti del pozzetto e che non fu demolito.

    È notevole che quasi tutti gli esempi nord-europei di fornaci per campane sono del tipo descritto da Teofilo, mentre gli altri due esempi italiani pubblicati sono del tipo a tiraggio verticale.

    Il pozzetto di Pavia consiste in una trincea ellittica, con la fornace ad ovest e la buca per l'alimentazione a est; la fornace è circolare, costruita contro i lati del pozzetto con frammenti di mattoni e pietre senza legante, e con la parte superiore incurvantesi verso l'interno, che è tutto rivestito con un sottile strato di argilla. Per reggere lo stampo ci sono sul fondo tre sostegni rialzati che hanno ancora aderenti i resti di una sottile striscia curva di argilla, larga circa 9 cm. e di sezione leggermente concava: quasi sicuramente si tratta di un sostegno per la base di uno stampo che aveva un diametro di circa 80 cm. La campana alla quale si riferiscono i frammenti di stampo rinvenuti, e che fu sicuramente l'ultima costruita nella fornace, aveva un diametro esterno all'orlo di soltanto circa 52 cm., e quindi in questa stessa fornace furono realizzate almeno due campane.

    Sotto il livello dei tre sostegni c'è un basso ed irregolare gradino lungo il perimetro, probabilmente soltanto per rinforzare la struttura. Sul fondo c'era uno strato di carbone e a est l'apertura comunicante con la buca di alimentazione, quest'ultima priva di rivestimento.

    La fornace era riempita fin quasi all'orlo con una sabbia fine con poche macerie, molto diversa dal riempimento della buca di alimentazione e dallo strato sovrastante, e testimonia forse il metodo di sollevamento dello stampo descritto da Teofilo. Questa sabbia conteneva alcuni frammenti di stampo, in gran parte provenienti dal sistema di sostegno e dalla base dello stampo interno, tolti intenzionalmente a questo punto o distaccatisi accidentalmente.

    La maggior parte dei frammenti di stampo è stata rinvenuta nello strato sovrastante la sabbia e nel riempimento della buca di alimentazione, e da qui vengono anche numerosi frammenti di argilla con una superficie vetrificata e spesso con notevoli tracce di bronzo, molto probabilmente provenienti dal rivestimento in argilla dei crogiuoli; altri frammenti che non furono in contatto col bronzo e furono cotti su una faccia in ambiente riducente vengono forse dal rivestimento esterno dei crogiuoli.

    Non si è trovata alcuna traccia ancora in situ della struttura per la fusione del bronzo, anche se il piano di calpestio contemporaneo alla gettata mostrava estese zone bruciate. La fornace era quasi sicuramente molto simile al tipo descritto da Teofilo: una struttura temporanea intorno ai crogiuoli, che veniva demolita durante o dopo la gettata.

    La perdita della maggior parte dello stampo rende problematica la ricostruzione di alcuni particolari: non si possono ad esempio conoscere l'altezza della campana, i dettagli della sistemazione degli attacchi e la forma dell'orlo inferiore dello stampo esterno.

    La campana era piccola, con un diametro esterno all'orlo di circa cm. 52, senza tracce di iscrizioni o decorazioni. Sulla cima aveva un tipico complesso di collum e aures per il fissaggio al supporto ligneo (DODWELL 1961, 157). Il numero delle aures è incerto, ma si sono rinvenuti frammenti di stampo relativi ad almeno quattro di queste ed è possibile che, sebbene piccola, la campana avesse sei aures collegate al collum.

    Nei frammenti rinvenuti tutte le superfici che dovevano essere in contatto col bronzo sono perfettamente levigate e spesso conservano tracce di bronzo. Nel corpo dello stampo la parte in contatto col bronzo fuso si è cotta in ambiente riducente e si presenta di colore nero scuro, invece nella struttura di sospensione la cottura è avvenuta in ambiente ossidante ovviamente a causa dell'uscita dell'aria riscaldata.

A - Grande frammento della base dell'interno dello stampo. Raggio esterno cm. 26. La superficie liscia scende obliquamente verso un piccolo gradino e quindi verticalmente. La base e l'interno del frammento sono grezzi ma con superfici definite molto ossidate. La superficie obliqua ha tracce di bronzo ed era cotta in ambiente riducente. La superficie verticale invece non ha tracce di bronzo ed è leggermente ossidata in una zona; presenta anche qualche aderenza di argilla che contrasta con la perfetta levigatura di tutte le superfici che erano sicuramente in contatto con il bronzo. Il frammento A è probabilmente da interpretare come la parte del fondo dello stampo interno che dava la forma all'orlo obliquo della campana. Lo stampo esterno per la chiusura probabilmente si univa a quello interno in corrispondenza del gradino e della superficie verticale; però non si è rinvenuto nessun frammento da questa posizione. Il problema è già stato affrontato in precedenza.

B - Frammento dello stampo esterno in corrispondenza dell'inizio dell'orlo della campana. Con superficie interna concava, liscia e con tracce di bronzo. Il corpo della campana a questo punto aveva un raggio di circa cm. 20. Al punto dove comincia l'orlo ci sono due linee incise parallele per produrre la tipica doppia riga in rilievo delle campane medievali. Si sono rinvenuti sette simili frammenti più piccoli, dei quali tre con raggio misurabile (tutti circa cm. 20).

C - Frammento dello stampo interno del corpo della campana. Con superficie interna concava, liscia e con tracce di bronzo. Raggio di circa cm. 20. Si sono rinvenuti undici frammenti simili, dei quali quattro con raggio misurabile (tutti circa cm. 20).

E - Frammento della sommità dello stampo esterno. Con superficie interna concava, liscia e con tracce di bronzo. Il raggio può essere misurato in due direzioni con diversa curvatura: quella orizzontale di circa cm. 17 e quella verticale di circa cm. 9. Si sono rinvenuti altri tre frammenti simili.

F - Frammento di argilla molto ossidata dall'esterno dello stampo, con tracce evidenti di ditate. Si sono rinvenuti ventidue frammenti simili.

G - Frammento dello stampo del collum, che aveva una sezione rettangolare. Proviene dalla zona dove si uniscono la superficie verticale piana e quella ricurva esterna. Il raggio esterno del collum era circa cm. 8. Si sono rinvenuti quattro frammenti simili. Frammento dello stampo del collum. Dalla superficie ricurva interna. Raggio di circa cm. 5,5. Il frammento ha una larghezza di cm. 6 senza arrivare ad un angolo da nessuno dei due Iati. Si è rinvenuto un pezzo simile.

I - Due frammenti ricomposti di stampo che danno la forma quasi intera di una delle aures, che aveva forma subellittica e sezione ottagonale. Con tracce di bronzo. Si sono rinvenuti dodici frammenti simili; abbastanza da dimostrare che la campana aveva almeno quattro aures.

L - Piccolo frammento di stampo con superfici lisce e ossidate. Quasi sicuramente dalla sommità della campana all'innesto di una delle aures (con un angolo di circa 45°).

M - Tre frammenti ricomposti di stampo che danno la forma della metà di una delle aures. Con tracce di bronzo. Alla sommità dell'arco c'è una piccola parte di quello che è quasi sicuramente il condotto cilindrico per lo sfiato. Il pezzo è molto ossidato all'interno.

N - Tre frammenti ricomposti di stampo che costituiscono- parte (lunghezza circa cm. 6) di un condotto cilindrico, liscio ed ossidato all'interno. Quasi sicuramente per l'introduzione del bronzo o per lo sfiato (cfr. M). Si è rinvenuto un altro frammento simile. Dal riempimento del pozzetto per la gettata provengono anche 106 altri frammenti in genere molto, piccoli di argilla cotta, senza forma ma probabilmente dallo stampo.

O - Frammento di argilla cotta simile a quella dello stampo, forma di lastra piana con superficie grezza da entrambi i lati. Spessore di circa cm. 1,8. Una superficie è cotta in ambiente riducente, e l'altra è ossidata. Senza tracce di bronzo. Si sono rinvenuti diciassette frammenti esattamente simili con spessore tra cm. 1,7 e 2,2 Tre provengono dal riempimento del pozzetto e 14 dalle macerie della Vedi parte 9 analisi n. 10.

P - Non riprodotto. Frammento di argilla fortemente vetrificata, con notevoli tracce di bronzo sulla superficie vetrificata. Sicuramente da una fornace per la preparazione del bronzo, probabilmente dal rivestimento del crogiuolo. Si sono rinvenuti 85 piccoli frammenti simili: 64 provengono dal riempimento del pozzetto e 21 dalle macerie della fase VIII.

Q - Tappo in argilla modellato a fungo, ossidato. Leggermente lacunoso all'orlo. Di uso incerto, forse per la chiusura di uno dei condotti.

 

INDICE

 

 



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Bibliografia

Bib-ST-000 - Testo di Ing. Arch. Michele Cuzzoni

Bib-ST-030 - Documentazione storica originale sulla Torre Civica di Pavia - Carteggi ritrovati presso l'Archivio Storico Cittadino Biblioteca Bonetta, piazza Petrarca, Pavia.- Estratto da: Scavi nella Torre Civica di Pavia, di B. Ward-Perkins, H. Blake e Altri.

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