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 Archeologia fusoria

AREA II - ARCHIVIO STORICO (ARS)

Cap. ARS-C01 - Archeometallurgia - Pag. ARS-C01.05

Gli argomenti trattati sono stati inseriti da Ing. Arch. Michele Cuzzoni nel 2012 - © Copyright 2007- 2024 - e sono desunti dalla documentazione indicata in Bibliografia a fondo pagina


 

Archeometallurgia del Ferro

 

INDICE:

 

 

 

Tabella 01: Riassuntiva

Tutti i reperti relativi alle diverse operazioni tecniche legate alla produzione devono essere considerati come indicatori di attività di produzione.

Questi non sono una classe omogenea di oggetti ma possono essere distinti fra loro in base alla loro funzione nella sequenza operazionale della produzione e/o alla loro identificazione come prodotti di scarto del ciclo produttivo stesso.

Elementi funzionali al processo di produzione, i cui resti possono apparire nel record archeologico, sono le istallazioni fisse, quali le fornaci, gli attrezzi e gli utensili di lavoro (tutti i prodotti finiti), e la materia prima quale il minerale crudo.

Fra i prodotti di scarto ed i residui del processo di produzione si devono annoverare scorie, materiali da riciclare, prodotti mal riusciti, frammenti di parete di fornace più o meno concotti, semilavorati, quali la bluma e/o suoi frammenti.

Ancora sono da menzionare gli indizi che si possono riconoscere nella stratigrafia anche in assenza di indicatori di produzione evidenti, quali quelli appena citati, come le tracce di continuata esposizione al calore e resti di cenere e carboni.

Nel valutare tali evidenze, occorre, comunque, sempre tenere presente che alcune modificazioni, anche evidenti, della stratigrafia e degli oggetti ivi contenuti, possono essere dovute a cause accidentali e non produttive: incendi impetuosi sono, infatti, in grado di deformare metalli e prodotti ceramici e di produrre effetti di combustione evidenti creando contesti archeologici di ambigua interpretazione.

Così, occorre innanzi tutto, distinguere fra i prodotti di scarto ed i residui formatisi in maniera accidentale e dovuti ad eventi non collegati alla produzione e quelli che, al contrario, sono il frutto dell'intenzionale lavorazione dei metalli.

 

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Fig. 01 - Ricostruzione grafica delle fasi di realizzazione di una fornace

Per fornace si intende il luogo fisico nel quale il minerale e/o il metallo viene processato attraverso l'uso del fuoco.

Esistono diverse tipologie di fornaci relativamente non solo alle loro caratteristiche strutturali ma anche al loro ruolo nell'ambito del ciclo produttivo metallurgico, ovvero queste possono essere distinte fra le fornaci di riduzione, nelle quali dal minerale si arriva alla produzione del ferro metallico, ed i fuochi di forgia/fucina, utilizzate per passare dal metallo amorfo all'oggetto finito.

L'indagine della struttura delle fornaci ed i problemi connessi all'ottenimento di temperature funzionali alla lavorazione dei diversi metalli sono altrettanti indici del livello tecnologico, e dunque di civiltà, di un determinato gruppo umano.

 

La termodinamica rappresenta in questo caso uno strumento fondamentale per comprendere e ricostruire le temperature ed il comportamento dei gas nelle fornaci e, quindi, in ultima analisi il processo di riduzione.

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Fig. 02 - Fornace di Riduzione

Basso fuoco viene denominato correntemente il tipo di fornace nella quale si pratica la riduzione.

La suddetta operazione può essere ottenuta tenendo conto dell'esistenza di alcune condizioni tecniche obbligate, dovute alle proprietà fisico-chimiche della materia prima e che devono, quindi essere sempre rispettate; ciò se da un lato, non crea una grande diversità in tali strutture produttive nei diversi stadi del loro sviluppo tecnico, dall'altro, legando strettamente il processo di produzione alle specifiche circostanze locali (ad esempio al tipo di minerale, del materiale di costruzione della fornace), genera tutta una serie di varianti locali.

 

 

Fig. 03 e 04 - Resti archeologici di fornaci di riduzione

Esiste, dunque, una vasta gamma di bassi fuochi e sono vari i tentativi di classificazione tipologico - strutturale fatti per classificare tali fornaci, elaborati sulla base dei resti archeologici.

Tuttavia, senza volere insistere sui dettagli di ogni singola tipologia, si possono senza dubbio distinguere due grandi famiglie: il basso fuoco a scoria colata, nel quale la scoria defluendo all'esterno del forno si separa così dal metallo, e quelli in cui la scoria defluisce in un apposito pozzetto posto sul fondo della stessa fornace, lasciando nella parte superiore il materiale infusibile.

Il grado e la modalità di separazione della scoria dal metallo sono uno parametro di valutazione essenziale del processo metallurgico e, quindi, rappresentano un criterio tecnologico di primo piano ed utile per la classificazione.

Nelle fornaci più "primitive", a pozzetto o a fossa, o in quelle in cui il sistema di ventilazione è posto sul fondo della fornace stessa, la separazione della scoria non può avvenire e, dunque, si conglomera insieme al metallo in una sola massa.

Le fornaci più evolute, invece, prevedono o un’apertura alla base del catino della fornace che permette l'evacuazione della scoria in direzione orizzontale all'esterno della fornace (fornaci a scoria colate) o una fossa nella quale la scoria si accumula in un pozzetto apposito sotto il catino della fornace stessa (fornaci con pozzetto per le scorie).

Le scorie colate sono generalmente accompagnate da una certa proporzione di scorie interne, ovvero di scorie che si creano all'interno della fornace e che non scolano via a causa di un precoce raffreddamento avvenuto all'interno del catino.

Per quel concerne le differenze di produttività fra i due diversi sistemi, questi sembrano equivalenti.

In entrambi i casi occorre interrompere la produzione per procedere all'estrazione della bluma.

In un basso fuoco le temperature raggiunte sono comprese nell’ordine dei 1000/1300°C. In queste condizioni il ferro rimane allo stato solido, anche se pastoso, ma il composto di elementi che forma la ganga, fra cui ossidi di ferro, silicio, alluminio, calcio diviene fusibile; è proprio questa mistura allo stato liquido e poi raffreddandosi che forma la scoria.

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Fig. 05 - Schema di un fuoco di forgia e delle strutture annesse:


1. Mantici; 2. Muretto di protezione; 3. Fuoco di forgia; 4. Scorie in forma di calotta in posto; 5. Deposito di scorie; 6. Riserva di carbone; 7. Pezzi di metallo; 8. Incudine in pietra base in legno e scarti di battitura; 9. Oggetti: martello, tranciante, punteruolo, lima, pietra per arrotare; 10. Pinze; 11. Vaso rotto reimpiegato come vascetta per la tempra; 12. Riserva di sabbia

La forgia può essere costruita come una semplice fossa, con semplici protezioni perimetrali atte a non disperdere il calore.

Tale struttura può funzionare sia a livello del terreno sia ad un livello sopraelevato.

Viene costruita con diversi materiali, quali argilla, come isolante principale, pietra o metallo.

Le sue dimensioni variano in funzione delle diverse operazioni che il fabbro vi si appresta a condurre.

I fuochi di forgia/fucina di solito si trovano al chiuso, all'ombra, o meglio in luoghi non illuminati direttamente, in quanto è l'oscurità che facilita l'osservazione dei diversi colori che il metallo assume nel corso della lavorazione e che sono altrettanti indici per il fabbro dei differenti trattamenti termici ai quali il metallo stesso può essere sottoposto.

Nelle fucine preindustriali i mantici venivano piazzati lungo i lati del braciere così da fornire una ventilazione orizzontale. Tali fornaci potevano essere utilizzate tanto per la forgiatura quanto per la raffinazione della bluma.

 

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Fig. 06 a sinistra - Strumenti da fabbro rinvenuti in Svezia.

Fig. 07 a destra - Attrezzi da fabbro rinvenuti nella tomba gepide di Mezoband in Transilvania (Romania) VI sec d.C.

In relazione alla sopravvivenza nel record archeologico degli strumenti, quali pinze, tenaglie ed incudini, è necessario tener conto dell'importanza di alcune variabili.

Dal momento che gli utensili erano di proprietà dei singoli artigiani erano questi stessi che decidevano del futuro dei loro attrezzi.

Inoltre, dato che lo stesso fabbro è l'artigiano che più di ogni altro produce da solo i propri attrezzi o, perlomeno, le parti più importanti degli stessi questa rapporto di proprietà doveva essere ancor maggiormente avvertito.

Dunque, si può ragionevolmente ritenere che gli attrezzi fabbricati con materiali resistenti all'usura del tempo fossero di solito trasmessi da ogni singolo artigiano ai propri eredi.

Questi utensili, dunque, tendono a restare a lungo nell'uso.

L'abbandono, ed il conseguente ritrovamento archeologico, non è, dunque, così frequente. Gli artigiani non erano affatto propensi a lasciare e, quindi, a perdere i propri strumenti di lavoro. Solamente in seguito ad episodi violenti questi venivano abbandonati: non a caso gli utensili integri vengono più facilmente ritrovati al di sotto di strutture crollate improvvisamente o in ripostigli dove erano stati riposti per poi essere in seguito recuperati. Una programmata cessazione dell'attività produttiva, al contrario, non lascia rilevanti tracce, per quanto attiene agli utensili, nell'evidenza archeologica.

Fig. 08 - Attrezzi da minatore di attribuzione romana o altomedievale

Lo studio archeologico degli strumenti da lavoro, inoltre, è ostacolato più di altri dalla continuità tipologica, dal momento che sugli attrezzi il valore funzionale prevale su quello estetico e dunque l’evoluzione delle forme, dettata esclusivamente da aspetti di carattere funzionale, segue un processo molto lento.

Infine, sia il valore simbolico che l’artigiano attribuisce all’attrezzo, sia, in alcuni casi, le grandi dimensioni dei pezzi (si pensi ad esempio alle incudini, ai mazzuoli, ai picconi), sia anche la stessa durata funzionale dell’oggetto, fanno sì che il manufatto venga tenuto a lungo in vita tramite continui aggiustamenti e, una volta irrimediabilmente rotto, venga riforgiato per il riutilizzo della materia (materiale da riciclare) prima, ossia del ferro.

 

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Tabella 02 - Riassuntiva

Le operazioni tecniche legate a questo specifico ambito produttivo possono, in maniera assai generale e schematica, distinguersi in due distinti momenti: i processi metallurgici di estrazione, ovvero la fase legata alla cosidetta metallurgia estrattiva, ed i metodi della metallotecnica, ossia i procedimenti legati alla trasformazione del metallo amorfo in un oggetto funzionale e funzionante.

Entrambe queste fasi sono contraddistinte da catene operative specifiche e distinte, ma accumunate dall'uso del fuoco, che lasciano altrettanto caratteristiche tracce archeologiche nella stratigrafia.

Le diverse operazioni del ciclo produttivo dei metalli devono, tuttavia, essere classificate secondo un ordine.

 

A monte della valutazione delle attività produttive deve, dunque, posizionarsi l'analisi della situazione geomineralogica della regione in esame.

Vanno allora individuate non solo le potenzialità minerarie in relazione alla topografia degli insediamenti ma, altresì, identificati i diversi approcci allo sfruttamento minerario e, una volta individuate le miniere, queste devono essere distinte fra loro tipologicamente; va anche precisato l'eventuale uso di metallo nativo e la sua propria natura (ossidi, carbonati e solfuri).

Egualmente, si presenta la necessità di seriare e distinguere i diversi stadi della successiva fase di trasformazione del minerale, ovvero la metallurgia vera e propria.

Vengono, così, distinte diverse azioni tecniche caratterizzate da differenti catene operative e, quindi, da diverse tracce archeologiche: ricerca/prospezione, preparazione (eliminazione della ganga o roccia sterile, selezione, pesta, lavaggio), arrostimento e riduzione del minerale; ed infine, i procedimenti tecnici atti alla rifinitura e produzione di un oggetto che risponda con la maggior approssimazione possibile alla funzione per la quale è stato creato, e cioè: messa in forma attraverso azioni termomeccaniche (quali forgiature a freddo e caldo); torsione; trattamenti termochimici particolari (come ad esempio ricottura, tempra, rinvenimento, cementazione); decorazioni meccaniche e pirotecniche (quali, cesellatura e doratura); assemblaggio (rivettatura, saldatura).

 

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Fig. 09 - Ricostruzione grafica della miniera medievale a solfuri misti di Rocca San Silvestro (Campiglia M.ma - LI).

Le vene metallifere di ferro sono relativamente abbondanti e varie.

Il loro valore economico dipende dal tasso di concentrazione metallica al loro interno (minimo 20%, medio 45%) ma anche dal tipo e dalla natura degli elementi che lo accompagnano.

Le tecniche di estrazione metallurgica sono, dunque, subordinate in primo luogo alla tipologia del giacimento di provenienza.

La diversa composizione dei minerali influisce in maniera considerevole sui processi metallurgici di estrazione.

Questo tipo di condizionamento risulta essere una costante anche per la metallurgia industriale; si legge infatti in un manuale di chimica ancora in uso ai giorni nostri: "Si può dire che ogni tipo di giacimento, per le sue caratteristiche particolari, richiede un particolare trattamento metallurgico, per cui in pratica ogni impianto lavora con caratteristiche sue proprie, in relazione al minerale trattato".

Questa semplice osservazione assume un significato particolarmente importante per la interpretazione delle evidenze archeometallurgiche dal momento che l'intera catena operativa della produzione metallurgica era per lo più basata sulla conoscenza empirica.

Ci sono poi numerosi altri parametri che condizionano, in vario modo, processi necessari alla produzione di un metallo e che pertanto vanno debitamente considerati nel corso della ricostruzione storico-tecnologica (vedi anche il problema della datazione delle emergenze minerarie).

Si tratta dei metodi utilizzati per l'estrazione e l'arricchimento del minerale (una buona purificazione ed un buon arricchimento del minerale riducono notevolmente i problemi legati alla fusione/riduzione), della disponibilità locale di combustibile (talora il carbone diveniva più prezioso dello stesso minerale) e delle qualità richieste al prodotto finale (nel caso del piombo argentifero, ad esempio, la qualità del piombo era subordinata al recupero di tutto l'argento in esso contenuto; a temperature più basse si otteneva infatti un piombo più malleabile, ma si perdeva una notevole quantità di metallo nelle scorie).

Accanto a questi esistono, inoltre, tutta una serie di fattori che dipendono dai sistemi socio-economici e politici e che costituiscono pertanto la complessità del contesto storico delle varie produzioni.

Tutte queste variabili hanno condotto, dunque, a sviluppi indipendenti dei processi di estrazione metallurgica, con caratteristiche peculiari ed adeguate al distretto locale.

In uno studio di archeometallurgia sarà, perciò, necessario, da un punto di vista metodologico, tenere conto delle diverse realtà locali, sia per quanto riguarda gli aspetti giacimentologici e mineralogici, sia da un punto di vista della storia economica di un dato territorio.

Per uno studio globale del lavoro minerario di un filone è necessario distinguere se si tratti di miniere a cielo aperto o di quelle in galleria e, qualora si tratti di coltivazione sotterranea, individuare e documentare anzitutto le vestigia superficiali.

La distribuzione dei lavori in superficie può, infatti, riflettere la geometria sotterranea o l'orientamento del filone. La distribuzione sul terreno e l'importanza di certi resti ci danno informazioni circa la produttività del filone e l'organizzazione dello sfruttamento. Ad esempio una molteplicità di piccoli lavori potrebbe attestare tanto una parcellizzazione delle concessioni (che caratterizza l'inizio dello sfruttamento di un nuovo filone), quanto l'affioramento in superficie della vena mineralizzata, o ancora una febbrile e vana ricerca di un filone considerato molto ricco.

Al contrario, un numero limitato di lavori importanti, potrebbe indicare sia un monopolio delle concessioni oppure l'assenza di minerale vicino alla superficie e, quindi, la necessità di coltivazioni più profonde.

Si consideri poi che in età preindustriale si trovano spesso, all'imbocco della miniera, i resti delle prime fasi di lavorazione meccanica del minerale (selezione, lavaggio e pesta).

L'esame di tali discariche consente molte osservazioni sulla natura dei materiali estratti e sulle proporzioni del lavoro effettuato sul filone, permettendo, ad esempio, una prima stima della profondità della miniera e delle proporzioni del lavoro effettuato sul filone (grazie alla valutazione del rapporto fra minerale e roccia sterile). Inoltre, queste discariche consentono anche di ricostruire le grandi tappe della storia di una miniera, dalle ricerche/prospezioni del filone nella roccia sterile, fino alla scoperta di una zona produttiva.

Dallo studio dei resti sotterranei, suddivisibili genericamente in gallerie di approccio (gallerie realizzate nella roccia sterile per raggiungere il filone) e zone di coltivazione (scavi e gallerie realizzati per lo sfruttamento del filone stesso) è possibile trarre tutta un'altra serie di informazioni, prevalentemente riguardanti la dinamica dei procedimenti di estrazione legati alla individuazione ed analisi delle tracce e striature dei diversi attrezzi utilizzati, del tipo di sezione o pianta delle gallerie, della presenza di canalette, delle tracce.

 

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Fig. 10 - Schema delle modifiche microstrutturali di un metallo (appartenente al sistema cubico a facce centrate, esagonale o ottaedrico) sottoposto a trattamenti meccanici e termici.

Sotto questa categoria rientrano le catene operazionali che portano alla produzione vera e propria del metallo (riduzione del minerale) e alla sua messa in forma (forgiatura) grazie all'uso dell'energia termica fornita dal fuoco e dei processi meccanici messi in atto dall’artigiano.

 

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Nell'antichità e per tutto il Medioevo, fino almeno al XIV secolo, la produzione di ferro attraverso il processo diretto richiedeva una serie di lunghe e complesse operazioni prima di poter ottenere un prodotto finito rispondente ai criteri della funzionalità.

In primo luogo erano necessarie alcune operazioni successive all'estrazione e preliminari alla lavorazione vera e propria del minerale, quali pesta e lavaggio, arrostimento, preparazione del combustibile.

Il ferro, inoltre, presenta maggiori difficoltà di lavorazione rispetto agli altri metalli in quanto richiede un'alta temperatura di fusione per risultare puro.

Questo rappresentò uno dei maggiori ostacoli nell'antichità e nel Medioevo, data l'impossibilità di raggiungere una temperatura sufficiente per la fusione (1.536°C) e di ottenere un metallo completamente puro.

Il cosiddetto antichissimo metodo diretto, utilizzato fin oltre il Medioevo in Europa e tradizionalmente usato in Africa fino agli anni '60, permetteva di ottenere, senza giungere alla fusione e per riduzione degli ossidi, soltanto una massa spugnosa del metallo, o bluma, che doveva essere sottoposta ad un'ulteriore lavorazione prima che si potesse ottenere il ferro solido.

Questo procedimento, data l'imperfetta riduzione, comportava che nelle scorie fosse ancora presente un altissimo contenuto di ferro, che poteva superare anche il 40%.

Per un radicale mutamento della qualità del ferro bisognerà attendere l'età moderna, quando lo sviluppo degli altiforni, una maggiore ventilazione, e l'utilizzo del carbon fossile renderà possibile la produzione di gettate di ferro, grazie al raggiungimento di temperature assai elevate.

La temperatura ottenuta nelle fornaci utilizzate con questo metodo, dette bassi fuochi, non era sufficiente per la fusione del ferro, ma soltanto a provocare la formazione di grani di ferro che gradualmente si coagulavano in una massa spugnosa.

Le scorie liquide, costituite per la maggior parte da silice e ossidi non ridotti, colavano nel fondo della fornace o all'esterno di essa, lasciando nella parte superiore del forno, il materiale infusibile.

La massa spugnosa o bluma, così ottenuta era, tuttavia, ancora mista a scorie fluide; per questa ragione, una volta estratta la bluma dal forno (dall'alto nelle fornaci meno evolute e dal basso in quelle più efficienti), essa doveva essere ancora a lungo lavorata (processo di raffinazione della bluma).

Fig. 11 - Scoria di raffinazione a forma di calotta

Quest'operazione di raffinamento durava, ed era ripetuta, tanto quanto era necessario per ottenere il metallo il più puro possibile. La fusione della ganga o roccia sterile si verificava, al contrario, a basse temperature e senza fondenti.

Questo processo diretto di riduzione del minerale non consentiva una elevata produzione di ferro che, oltretutto, aveva uno scarso tenore di carbonio.

Il ferro così prodotto (anche dopo il processo di raffinazione della bluma), infatti, è dolce, resistente ma privo della durezza necessaria per fabbricare armi ed utensili.

Inoltre, le qualità di questo metallo sono tutt'altro che omogenee, dal momento che sono legate sia al tipo del minerale di ferro trattato in vista dell'ottenimento del lingotto, sia alle abilità tecniche dei singoli artefici.

Per cui anche la messa in forma dell'oggetto richiede un ulteriore processo, ovvero la forgiatura, l'applicazione dei procedimenti termochimici e termomeccanici atti a fornire al prodotto finito i requisiti funzionali e meccanici richiesti.

 

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Fig. 14 - Ricostruzione grafica di un maglio azionato da energia idraulica

Il passaggio al metodo indiretto fu stimolato dal migliore rendimento rispetto al metodo precedente e favorito dalla diffusione generalizzata delle macchine idrauliche applicate alla metallurgia.

Gli artigiani lavoravano con fornaci sempre più grandi che raggiungevano temperature sempre più elevate grazie anche ad una migliore ventilazione.

Già nel XII secolo appaiono, infatti, i primi altiforni in grado di produrre gettate di ferro fuso, la ghisa. Tuttavia, tale produzione non si diffonde in modo generale fino al XVI secolo quando diviene il procedimento più comune.

 

Si pensi, ad esempio, a come l'aumentata richiesta di ferro, nei secoli centrali del medioevo, abbia stimolato per la Toscana la ricerca di una tecnica capace di aumentare la produzione; tale tecnica verrà di lì a poco importata dall'area alpina con la quale esistevano già contatti commerciali per i prodotti ferrosi.

Sembra, infatti, che proprio nelle Alpi sia da localizzare l'epicentro dell'innovazione dell'utilizzo dell'energia idraulica che ha, con il tempo, permesso di passare dal metodo diretto al metodo indiretto di produzione del ferro.

 

 

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Bibliografia

Bib-ST-000 - Testo di Ing. Arch. Michele Cuzzoni

Bib-ST-019 - Tratto da una monografia di M. Composta.

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Bib-ST-021 - D. A. Scott, Metallography and Microstructure of Ancient and Historic Metals, Getty Conservation Institute, The J. Paul Getty Museum, 2002 ISBN 0-89236-638-9.

Bib-ST-022 - W.H. Dennis, Metallurgy of the Non-Ferrous Metals, Sir Isaac Pitman & Sons Ltd,London1961.

Bib-ST-023 - S.U. Wisseman and W.S. WILLIMAS, Ancient Technologies and Archaeological Materials, Gordon and Breach Publishers, ISBN 2-88124-631-1.

Bib-ST-024 - L. Addicks, Silver in Industry, einhold Publishing Co. 1940.

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Bib-ST-027 - G.M. Ingo et al.”La pirometallurgia”, "Progetto Tharros", Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma 1997, 29.

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